Alcuni pensieri in libertà dalla risacca del bagnasciuga
di AMAR
I latini fregiarono Roma del titolo molto onorifico di Caput Mundi. Meno onorevolmente, nel passato prossimo, i moderni la conobbero per le pantegane e i rifiuti; nei giorni scorsi, per gli incendi e i rifiuti. Dunque, l’accoppiata cambia, ma i rifiuti restano. Per quanto riguarda gli incendi, la seconda ipotesi presa in considerazione dagli investigatori è “potrebbe trattarsi di terrorismo ecologico, commissionato dalla mafia dei rifiuti”. La prima è stata subito scartata: Nerone non c’entra. In tema rifiuti, va detto che la Città eterna ne produce 3.000 tonnellate al giorno di indifferenziato e corre il pericolo di diventare una putrida suburra. Tanto da ispirare il titolo di un futuro film: La grande monnezza. Già, ai suoi tempi, Aldo Fabrizi, sull’aria di Buongiorno tristezza, cantava “Bongiorno monnezza, facciamoci ancor oggi compagnia”.
Se c’è un triangolo nelle Isole Bermuda, che ti manda a fondo, un altro ce n’è, in Italia che, sino all’ultimo, ha tentato di tenere in piedi il Governo. Sulla strada dell’irrazionale “prima il partito”, si muove Matteo il Vecchio, con l’obiettivo di lucrare qualche pugno di voti in più. Tenendo i soliti piedi in due staffe, continua a fare il membro della maggioranza e il Fanfulla da Lodi dell’opposizione. Dalla trincea di combattimento, dove il tanto peggio diventa tanto meglio, la “nonna che occhi grandi che hai!” rimane in agguato. Però, come diceva Totò, ogni limite ha una pazienza. E gli Italiani l’hanno persa quasi tutta.
Ora, dall’Umbria: Nella graduatoria delle grandi Università italiane, quella di Perugia si trova al secondo posto. Ottima la votazione ottenuta per i servizi all’utenza, per la struttura, per l’internazionalizzazione. Dunque, la promozione della cultura d’alto rango, nel capoluogo di regione, primeggia. Anche la vicina Camerino se la passa bene: Prima in classifica tra le piccole per servizi, logistica e comunicazione. Del Polo universitario ternano si sono perse le tracce. Eppure, la comunità locale, intesa come popolazione attiva e tessuto produttivo, avrebbe tanto bisogno di una ”fabbrica del sapere” che faccia da volano allo sviluppo. Qualcuno, giudicando il peruginismo nella sanità, il metodo amministrativo strabico dell’Ente regione, la iniqua suddivisione delle risorse pubbliche e la programmazione unidirezionale; quel qualcuno ha parlato di trama tessuta dagli “etruschi in odore di massoneria”. Però costui è un bugiardo.
Per fotografare lo stato di imbarazzo attuale della situazione nazionale, è stato scritto (Carlo Galli): ”Il ghiaccio della Marmolada che crolla, il fuoco di Roma che ammorba, l’acqua che manca, l’aria africana che incombe, il gas della Russia che si interrompe, il virus che ci perseguita, la povertà crescente, l’inflazione galoppante e, sullo sfondo, la guerra, sono minacce con le quali siamo costretti a convivere”. Malgrado questi ed altri “chiari di luna”, i 5 stelle cadenti, con lo spirito dei reduci da Caporetto, si sono permessi, sulla strada sconnessa della vecchia ideologizzazione del NO, l’assalto destabilizzante all’Esecutivo ed alle Istituzioni. Politicamente una visione a “filiera corta”. Speriamo che il popolo alle urne ormai prossime, abbia buona memoria. Tra i risvolti negativi post elettorali (urne anticipate oppure di fine legislatura) se ne profila un altro increscioso per il Paese: L’aumento della disoccupazione di almeno un punto. Ex Deputati, ex Senatori, ex portaborse, ex addetti posizionati ovunque; insomma, ci dovremo far carico delle “scorie” di un Movimento sulla strada del disfacimento (rima casuale). Alla fine, il qualunquismo e il populismo ti cadono addosso.
Nel nostro Paese, al vertice dello Stato, c’è una “intesa vincente”. Ha la fiducia all’interno e la stima all’stero da parte delle maggiori democrazie mondiali. Alcuni mesi orsono, Draghi ha sollecitato Mattarella a restare; ora si auspica che Mattarella convinca Draghi a rimanere. Ancora una volta, i migliori hanno in mano gran parte del nostro destino. Chi costruisce e chi sfascia.
Sul terreno delle previsioni a breve, si profila, dopo l’estate rovente, un autunno molto caldo. Non in senso meteorologico. Saremo costretti a rimodellare stili di vita e comportamenti sociali. A preoccupare di più è il “ricatto dell’orso” russo – sovietico. Meno oppure niente gas e più sacrifici per noi. La doccia breve e con l’acqua tiepida, gli impianti termici domestici e pubblici accesi meno di quanto basta, le luci della città orientate verso la penombra; e ancora, i piatti e un bel po’ di panni lavati a mano come faceva la madre mia, la pastasciutta cotta al dente, le automobili ferme ai box come in Formula 1. E – Dio ci salvi – la fame infuria, il pan ci manca. Gli effetti del conflitto russo – ucraino, anche dalle parti nostre, saranno inquietanti.
In sottofondo s’ode il pianto dirotto dei followers della “coppia che scoppia” (anzi, scoppiata). Se mettiamo insieme le loro lacrime si potrebbe riempire il grosso caldaio appeso al camino nella mia vecchia casa, usato per fare la polenta. La favola bella raccontata da Ilaria, detta Ilary (Blasi) e Francesco, detto er pupone (Totti) è finita. C’era una volta il matrimonio, ora il divorzio.Ebbe inizio nell’estate del 2005, a Roma, in Santa Maria Aracoeli, sotto la pioggia e i lampi dei fotografi e delle telecamere guardone.
Si è chiusa in malinconia – lo scrivo con precisione, per la storia – con il primo comunicato stampa al femminile, diramato alle ore 20 e 30 dell’11 luglio 2022: Comincia secco, senza se e senza ma, “il mio matrimonio con Francesco è terminato”. Quasi fosse una puntata dell’Isola dei famosi (o fumosi). Di seguito, 12 minuti dopo, Francesco: “Dolore inevitabile”. Però, aveva già stemperato l’angoscia, sostituendo Ilary con Noemi. Sulle note del motivetto: Quanto è bellu lu primo amo’, lu secondu è più bellu anco’. Rimangono tre figlioli da gestire e un malloppone da spartire.
Malgrado i tanti guai italici di recente intervenuti, tra i quali spiccano, in numero disastroso, nuove e destabilizzanti povertà, le quotazioni e gli “ingaggi” dei lavoratori (?) del pallone preso a calci – i pibe de oro, a peso d’oro – permangono (spudoratamente) intatti. Per esemplificare, ecco Kalidou Kolibaly (ex Napoli), 60 milioni il suo prezzo d’acquisto e per lui 9 virgola 5 milioni a stagione (perché costoro sono stagionali, però non raccolgono pomodori). Un altro, Yoia Di Bala (ex Juve): stipendio netto 6 milioni; ancora Milan Skriniar (ex Milan) 65 milioni di valutazione. Per comprare (manco fosse un cavallo alla fiera) il giovane talento Scamacca (Sassuolo) ci vogliono 50 milioni sull’unghia. Un favoloso albero della cuccagna.
In cima a quelli delle antiche feste paesane, al massimo potevi vincere un prosciutto. Tutto quanto e chissà quant’altro premesso, fa un certo effetto leggere che la Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC) perde un milione al giorno e che – testuale – “il calcio italiano, in una ventina di anni, dal 2000 in avanti ha accumulato un rosso pari a 4 miliardi di euro.” Ripeto, esterrefatto: Italia mia, vedo le mura, gli archi, le colonne, ma la gloria (e il decoro civile) non vedo.