Di AMAR – Alcuni giorni fa, la T.V. ha mostrato le immagini dei topi più grossi dei gatti, che correvano allegramente sopra l’immondizia sparsa a tonnellate lungo le vie della gloriosa città dei Cesari. Un tempo portatrice di civiltà (a fil di spada) nel mondo antico conosciuto. Spettacolo perverso dal punto di vista igienico e sconvolgente da quello turistico; del danno all’immagine manco a parlarne, si evidenzia da solo. Mi sono voluto mettere dalla parte di quei ratti per capire come la pensano in riferimento al degradante fenomeno che, a Roma, sta facendo d’ogni monnezza un fascio.
Li ho immaginati riuniti in assemblea per dibattere il problema e adottare provvedimenti in sussidio alla Giunta Capitolina, incapace e impotente. Si sono riuniti nell’aula magna, anzi nella cloaca massima che li ospita, nel numero incalcolabile, in quella che per loro è la metropolitana con la quale si spostano agevolmente, per emergere da qualunque tombino. La prima contestazione ha riguardato, era ovvio, la congerie di rifiuti che, in molti punti ormai, ostruisce persino le vie d’uscita, costringendo i roditori a spericolate e putride scappatoie. La vita delle fogne, puzzolente però ordinata, ne è risultata sconvolta, al limite della protesta clamorosa.
A giudizio delle pantegane, rispettose delle virtù domestiche, siamo ormai oltre il limite della rottura di … pazienza. Come dire, al piano di sopra si sta angariando l’esistenza del piano di sotto con la invereconda ammucchiata, insopportabile (quasi una intimazione di sfratto) per la popolazione sorcina, peraltro adusa alla lordura. Però, munita di storico diritto di residenza e di resistenza, a Roma, sin dal tempo di Caligola e di Nerone. Un aspetto non trascurabile – a giudizio del bestiale consesso – è anche quello dell’immigrazione clandestina: pare si sia sparsa la voce, intorno a Roma, dell’abbondante magna, magna possibile sopra la putredine municipalizzata; così, persino dal più remoto suburbio, si sono trasferite nel centro urbano intere colonie di sorci burini. Comunque, la rivendicazione dell’alto grado di accoglienza, nei confronti di questi extracomunitari (cioè, provenienti da fuori del Comune), c’è stata e l’ospitalità dichiarata doverosa, secondo la atavica tradizione sorcina.
Sta avvenendo – si è detto – una minacciosa mutazione nel sottosuolo della nostra amata Caput mundi: la decomposizione dei rifiuti ha generato calore e fatto alzare la temperatura, talché la scorsa estate si è verificata una vera e propria emergenza climatica, con ripercussioni nient’affatto marginali sulla salute degli abitanti fognati. A danno principalmente dell’infanzia e della terza età topesca, categorie per le quali, in permanenza di tale sconcezza, si pronostica un futuro ad alto rischio. Ecco allora la proposta seria e costruttiva, avanzata nel corso del meeting, motivata dall’elevato senso del dovere che, a Roma, da sempre, caratterizza i topi di fogna: occorre far crescere nella popolazione delle chiaviche una forte coscienza ecologica; e chiamare sorci, sorcesse, nutrie, cavie, zoccole, roditori d’ogni ceto sociale e l’intera fauna sottostante, alla mobilitazione generale (allarme, allarme!), onde offrire alla Giunta grillina, un tangibile sostegno nello smaltimento dei rifiuti, ormai presenti in quantità industriale, davanti agli usci delle case. Parafrasando Trilussa: “Nun ce sta un sito senza la monnezza, Roma capoccia pare ‘na schifezza.”
In verità, qualcuno si è detto perplesso per la notevole presenza di “ingombranti” nei montarozzi, quali lavatrici, frigoriferi, mobili scassati, letti e materassi, parti di biciclette, copertoni e coperture varie, fuori dalla portata fisica persino dei topi palestrati. L’obiezione è stata accolta, però è prevalso lo spirito di servizio e di cittadinanza romana. Faranno squadra, come usano esternare i politici quando la faccenda si fa complicata. Agli umani (un po’ zozzoni) verrà avanzata, in cambio del soccorso, la richiesta di sospensione delle micidiali attività di derattizzazione, nel reciproco interesse. Insomma, per la salvezza nostra e dell’Urbe eterna – hanno concluso i ratti underground in coro – rosicanti di ogni categoria U-NI-TE-VI. La patria (del sudiciume) e il suo decoro sono a repentaglio ed è dovere di ciascun abitante, sopra e sotto il sacro suolo della città eterna, operare per la sua salvezza. Giacomino Leopardi diglielo tu per me (anziché all’Italia): “O Roma, vedo le mura e gli archi e le colonne e i simulacri e l’erme torri degli avi nostri, ma la gloria non vedo. Chi ti ridusse a tale? Piangi che ben ne hai donde, Roma mia!”