Nell’ansia del “caso Moro”, assunse la veste assurda d’ogni pratica esoterica
di Adriano Marinensi
Riavvolgiamo il nastro di un tratto di storia italiana che ci fece trepidare di sgomento e mise in crisi il sistema democratico. Riavvolgiamo il nastro per raccontare una sorta di storiella curiosa che sembra surreale, invece è veramente accaduta. Una aggiunta quasi illogica in appendice ad un fatto tragico e infame. Tra il grottesco e la divinazione. Siamo al 2 aprile 1978. Nel nostro Paese si vivono momenti convulsi. Tre settimane prima, Aldo Moro è stato rapito dalle Brigate rosse di Mario Moretti ed altre canaglie come lui, portatori spregevoli di utopie maledette.
Dalle parti di Bologna, un gruppo di amici ha deciso di incontrarsi intorno ad un tavolo apparecchiato, pasto di tipo casereccio, sino alla frutta, al dolce, al caffè. E ammazza caffè. Prima di quel giorno, solo i suoi abitanti conoscevano l’esistenza del borghetto chiamato Zappolino, dove ebbe luogo il prodigio qui in narrazione. Si sapeva soltanto che, nel 1525, vi era stata combattuta una cruenta battaglia tra i Ghibellini di Modena e i Guelfi bolognesi. Quattro secoli dopo, la notorietà venne dall’occulto, finendo per avere valenza politica e giudiziaria.
Se ci sei batti un colpo
Siccome quella domenica 2 aprile la giornata è uggiosa, per ammazzare il tempo dello stare insieme al chiuso, qualcuno avanza all’autorevole combriccola di Zappolino, la proposta bizzarra: Organizzare una seduta spiritica. La ragione è nobile: chiedere alle anime inclite di un paio di trapassati (Luigi e Giorgio), dove si trova recluso il Segretario della D.C. Far appello agli assunti in cielo per risolvere faccende dei presenti in terra, è cosa delicata.
Però, la posta in palio alta e si decide di procedere. Dunque, tavolone stile campagnolo, sedie impagliate attorno, il piattino di coccio al centro, le mani congiunte a formare la catena e l’invocazione di rito: Spirito di … se ci sei batti un colpo. Bum! e il sobbalzo d’assenso è repentino. Senza trucco e senza inganno, solo effetto del paranormale. Parola d’onore di ben 12 persone: 9 erano Docenti dell’Università di Bologna. Quindi tutti sani di mente, anzi di mente eccelsa. Non ci furono, come talvolta negli incantesimi, stridore di ferraglie e folate di vento gelido.
A testimoniare l’avvenimento, esiste una lettera, datata 3 febbraio 1981, indirizzata all’Ill.mo Presidente della Commissione d’inchiesta sulla strage di Via Fani. In calce, le 12 firme, tutte precedute dai titoli accademici. Quindi, roba seria e credibile. In riassunto, vi si legge: “Dopo pranzato ed a causa del sopravvenuto maltempo, si pensò di fare il cosiddetto gioco del piattino, a titolo di curiosità e passatempo. Anche se – viene aggiunto – nessuno avesse predisposizione alcuna di tipo parapsicologico”. Ancora la dichiarazione: “Teniamo a precisare che tutto si svolse in una atmosfera assolutamente ludica. Verso la fine del gioco, emerse l’indicazione Gradoli”.
Le lettere che dissero Gradoli, Viterbo e Bolsena
Insomma, il piattino si mise in moto, per ispirazione del se ci sei, batti un colpo, ammucchiando le lettere dell’alfabeto, che formarono appunto la parola (magica): Gradoli. Parve l’indicazione giusta che faceva riferimento alla prigione del sequestrato. Gradoli è un piccolo borgo in territorio di Viterbo, immantinente messo sotto assedia da preponderanti Forze dell’ordine. Operazione inutile, in quanto il paesello risultò innocentissimo.
Qualcosa in più emerge dal verbale della predetta Commissione parlamentare (17 giugno 1998). Il Presidente riferisce quanto dichiarato “in maniera abbastanza convergente”, dai partecipanti al gioco del piattino. “Furono vergate su un foglio di carta le 21 lettere dell’alfabeto. Il piattino cominciò a spostarsi sul foglio, descrivendo una serie di parole a volte incomprensibili. Ma, anche Viterbo, Bolsena e Gradoli. La seduta si svolse – riferisce ancora il Presidente – come qualcosa che i presenti non prendevano sul serio”. Tanto che “alcuni dei convitati cuocevano salsicce e le donne preparavano il caffè”. Dunque, loro non presero seriamente la “pratica”. Però, la messa a verbale di un Organo importante fa trapelare l’atmosfera convulsa vissuta in quei giorni.
Il covo delle B. R. stava in Via Gradoli
Per quanto riguarda l’indicazione Gradoli, nessuno si prese la briga di consultare lo stradario di Roma, altrimenti sarebbe stato palese che, a Roma, esiste pure una Via Gradoli. Tempo dopo, chiamati dall’amministratore condominiale del numero civico 96, per una perdita d’acqua, i Vigili del fuoco scoprirono una santabarbara d’armi e munizioni. Proprio in Via Gradoli, le B. R. avevano collocato un proprio covo nell’ appartamento affittato a tale Mario Borghi alias Mario Moretti, assassino confesso di Aldo Moro.
In verità, una segnalazione era giunta agli inquirenti di taluni movimenti in quella casa. Ci fecero un salto due Agenti, per un sopralluogo attivo. Bussarono alla porta, nessuno (ovviamente) disse avanti e loro se ne tornarono in caserma. Fu uno dei passi falsi degli inquirenti che fece proseguire il dramma dei 55 giorni trascorsi dopo Via Fani. E la voce che, a delitto commesso, disse: “Vogliamo avvertire la famiglia che possono ritrovare il corpo di Aldo Moro in Via Caetani, 2^ traversa a destra di Via delle Botteghr Oscure, dentro una Renault 4 rossa”.
La ricerca sul lago ghiacciato
Dopo i fatti di Zappolino, arrivò il falso comunicato delle B. R. n.7 (redatto da tale Tony Chichiarelli, legato alla Banda della Magliana) che indicava il Lago della Duchessa, in provincia di Rieti, come luogo di sepoltura del rapito. Allora, altra operazione in “forza magna” a rompere vanamente la spessa lastra di ghiaccio esistente sulla superficie dello specchio d’acqua, situato a circa 1800 metri s. l. m.. Era il 18 aprile, lo stesso giorno della scoperta fatta a Via Gradoli.
Chi si diletta nel formulare statistiche d’ogni tipo, ha rilevato che – durante la prigionia di Moro – furono effettuati 72.460 posti di blocco, 37.700 perquisizioni domiciliari, quasi 6 milioni e mezzo di persone controllate. Tutto senza esito. Alla fine la guerra al terrorismo l’hanno vinta lo Stato e la legalità. Però, alcune ombre sono rimaste a celare alcuni “anfratti” della tragedia Moro, all’interno della quale la seduta spiritica del 2 aprile 1978, assunse la veste insignificante d’ogni pratica esoterica. Una astrusa caccia ai fantasmi.