Di Adriano Marinensi – Ci sono notevoli differenze tra il prima e il durante la grande epidemia riesplosa durante queste settimane. Modelli di vita ch’erano acquisiti e consolidati stanno mostrando preoccupanti fragilità. Nessun coinvolgimento delle fondamenta democratiche del Paese, sia in campo nazionale, sia locale. D’altri mutamenti si tratta. Per esempio, l’equilibrio dei rapporti tra il sociale e il privato, tra i ruoli dello Stato e dell’economia di mercato, sta subendo modifiche tali da rimettere in buona vista pagine storiche del passato da poco ch’erano finite in totale disuso.
Nel settore sanitario, il cittadino si è ritrovato ad avere estremo bisogno, al limite del salvavita, di una protezione al massimo dell’efficienza strutturale ed al limite dell’eroismo individuale degli operatori. In quello sociale, la caduta verticale dei livelli occupazionali ha massimizzato la validità degli interventi di pronto soccorso finanziario, dando importanza strategica persino a provvedimenti, abusati in molti casi, come il reddito di cittadinanza..
D’ora in avanti ci sarà l’esigenza di riconsiderare il rapporto tra la presenza dello Stato e della componente privata nel delicato processo di sviluppo civile. Perché sarà lo Stato ad avere in mano le rilevanti risorse finanziarie messe a disposizione dalla U.E.; e le aziende a fare da duplicatore alla produzione della ricchezza e del lavoro, indispensabili per ridare movimento virtuoso ai meccanismi della ripresa. Il mondo imprenditoriale, in ogni dimensione, ha subìto un arretramento che ci ripone di fronte ai pericoli degli anni ’30 del ‘900, quando lo Stato dovette mettere in campo interventi di salvataggio. E nacque l’I. R. I. che aveva proprio nel suo acronimo, il compito della ricostruzione industriale. C’è inoltre una montagna di denaro dormiente al quale va data una destinazione sicura e remunerativa per il risparmiatore e produttiva per la collettività.
Non si rileva identità, ma di sicuro similitudine, tra le condizioni di crisi di circa un secolo fa e quelle odierne. Però, molti obiettivi a medio termine, soprattutto nella gestione del Fondo di guarigione (Recovery Fund) dei malanni nazionali, dipenderanno dalle decisioni del Parlamento e del Governo, dall’armonico protagonismo di tutti gli Enti pubblici (le Regioni in prima fila), delle componenti attive della società nella nuova programmazione dell’intero sistema. Sarebbe quanto meno antistorico dimenticare le operazioni I. R. I. ed E. N. I. che contribuirono a rimettere in piedi il Paese distrutto dagli eventi bellici. Nella circostanza fu decisiva – al netto degli eccessi – la presenza del cosiddetto Stato imprenditore. Alcune di quelle esperienze, poste in una dimensione aggiornata dei principi ispiratori, delle regole operative, degli strumenti tecnici, potrebbero suggerire utili indicazioni. Ribadisco: con meno finanza di pronto soccorso e più interventi di politica economica; perché se gli ingenti capitali, provenienti dalla U. E. non saranno produttivi di una solida ripartenza, diventeranno un problema anziché una risorsa. Una pericolosa pietra d’inciampo anche per il già gravoso debito pubblico.
Si parla, in maniera pressante, dell’esigenza di potenziare il Servizio Sanitario Nazionale su maggiori livelli di operatività e di eccellenza: il MES ci offre l’occasione, se riusciremo a sradicare le neghittose posizioni di bandiera. Il nuovo solidarismo europeo dovrà trarre consolidamento proprio dal buon uso delle risorse per superare la grande crisi. Un utilizzo poco razionale e scarsamente produttivo di effetti reali, finirebbe per ridare vigore alla scadente “dottrina” dei nazionalismi radicali e antieuropei. Che privilegiano collocazioni di retroguardia, di perpetuazione delle differenze sociali, di difesa del conservatorismo pusillanime. A danno del solidarismo interno e della mutualità internazionale.
Ci sono invece da conseguire approdi d’avanguardia come il rafforzamento dei legami internazionali, la tutela del pluralismo culturale, il rispetto della dignità e parità di diritti d’ogni persona, la riqualificazione ambientale, il rinnovamento urbano, il controllo della “pressione tecnologica”, l’espansione delle energie rinnovabili, la definitiva affermazione dell’economia circolare. Su questi ed altri percorsi innovativi, alcuni conseguenti alla globalizzazione, altri all’emergenza sanitaria, occorre camminare celermente e non attardarsi sulla sterile, permanente caccia al voto. Tutti oggi – maggioranza e minoranza – hanno il dovere di lavorare nell’interesse generale del Paese. Il resto è populismo senza arte, né parte.
Se prendiamo la situazione di Terni e la sua struttura produttiva di base – è l’osservazione conclusiva – dobbiamo riconoscere che c’è urgente bisogno di realizzare un progetto sempre più verde del fare industria e del fare politica. È vecchio ormai, ma resta valido, il suggerimento di andare alla ricerca di differenziazioni economiche, nella ricerca di nuovi spazi operativi dai quali trarre occasioni di crescita; uscire dalla dimensione pressoché mono produttiva; sperimentare campi di attività che altrove hanno creato avanzamento e dato qualità all’occupazione; costruire, per Terni, una identità dinamica di natura culturale. C’è anche l’esigenza di passare da una democrazia di minore età, ad una democrazia maggiorenne di dialogo, di confronto e di provetto governo della città. Altrimenti, la mediocrità e il provincialismo continueranno a fare da freno in ogni settore.