Di Adriano Marinensi – Era il mese di giugno. Due esagerati guerrafondai della storia moderna, seppure a notevole distanza l’uno dall’altro, si fecero venire la stessa idea e riportarono la medesima sconfitta. Per di più disastrosa. La disfatta segnò la fine prima di Napoleone Bonaparte, poi di Adolf Hitler. Il corso terribile, che aveva vinto grandi battaglie in Europa, pensò di completare l’opera di conquista per il suo Impero, attaccando la Russia dell’altro Impero, quello zarista. Il secondo megalomane, che, a volersi esprimere con l’indulgenza di un Santo, lo si potrebbe definire violatore seriale di tutte le regole umane e divine della morale sociale e del diritto civile; vale a dire il crudele nazista, se la prese con quella che, nel frattempo era diventata l’Unione Sovietica, assalita non con il progetto di conquista, ma di sterminio. In particolare degli ebrei russi da parte delle S.S.
Dunque, per entrambi a giugno la falce in pugno, ma non per mietere il grano, quanto invece per falciare esseri umani. Sul lungo cammino verso Mosca, procedettero tra un successo e l’altro. Alla lunga, dovettero però subire la preponderanza di un avversario armato solamente di neve e gelo: il “generale inverno”. Un condottiero implacabile, capace di fermare l’assalto delle artiglierie (di Napoleone) e dei carri armati (di Hitler). Alleato della tenace resistenza russa, contribuì, in maniera decisiva, al tracollo dei due invasori.
Cominciò Bonaparte, nel 1812, ad onta del trattato di alleanza con lo Zar Alessandro I, firmato a Tilsit, 5 anni prima. In quel periodo, l’Europa e il Medio Oriente sembravano un ampio fatto d’arme. I galli a cantare e battagliare tra loro, oltre a Francia e Russia, erano la Germania, l’Austria, le Prussia, l’Inghilterra, con il coinvolgimento di Svezia, Norvegia, Finlandia, Spagna, Polonia, Turchia. I garbugli tra le potenze non mancavano. Al Bonaparte, appena divorziato da Giuseppina, venne l’idea di apparentarsi direttamente con lo Zar, chiedendo a lui in sposa la sorella Anna Pavlovna, nel mentre non disdegnava la profferta austriaca di portare all’altare Maria Luisa, figlia di Francesco II d’Asburgo. Intrica, intrica, alla fine venne a galla la tracotanza del bellicoso francese. Attrezzò, con ampio schieramento di forze, la Grande Armata, però – a parer suo – per combattere una guerra breve e vittoriosa. Invece fu un lungo calvario. Lev Tolstoj vi trasse l’ispirazione per il capolavoro letterario “Guerra e pace”.
La campagna napoleonica ebbe inizio il 23 giugno 1812. Contando sulla vastità del loro territorio, i russi non contrastarono eccessivamente l’avanzata nemica. Si limitarono a qualche scontro, ma fecero terra bruciata, causando ai francesi difficoltà e problemi di sussistenza. Neppure Mosca venne difesa: anzi, all’entrata gli invasori la trovarono in fiamme e persero la possibilità di rifornirsi. Napoleone si aspettava che lo Zar chiedesse la pace. Niente. Trascorsero alcune settimane e non accadde nulla. A quel punto ordinò al suo esercito di tornare indietro. Intanto però si era ad ottobre, la Francia tanto lontana e la pessima stagione molto vicina. Quindi, i soldati di nuovo in marcia dovettero presto affrontare il freddo, la fame e la stanchezza, incalzati dai cosacchi del generale Kutuzov. Fu una catastrofe. Dei 600.000 che erano partiti, se ne salvarono soltanto 100.000. Gli altri morirono (400.000) oppure vennero fatti prigionieri (100.000). Gli storici presero a simbolo della disfatta napoleonica i due passaggi, all’andata e al ritorno, della Beresina, un fiume tragico che costò alla Grande Armata più di 40.000 uomini. La campagna di Russia era finita (16 dicembre 1805), in un disastro totale. In più, lo aspettava la “sesta coalizione” che lo sconfisse a Lipsia e lo esiliò all’Isola d’Elba.
Passò quasi un secolo e mezzo e un altro dittatore fallì nel tentativo di conquistare Mosca. Anche Adolf Hitler aveva firmato un patto di non belligeranza con l’URSS avente a capo un soggetto di pari dignità criminale, Giuseppe Stalin. Hitler mise insieme la più gigantesca macchina da guerra mai costruita nella storia dell’umanità. Con i carri armati al posto dei cavalli e le bombe che cadevano dal cielo. Il 22 giugno1941 dette avvio all’Operazione Barbarossa. Le sue truppe dilagarono in territorio russo, seminando morte e distruzione. Anche Hitler, come Napoleone, aveva in mente una guerra lampo, invece non fu così. In poche settimane, i nazisti arrivarono alle porte di Mosca. Stalin che aveva ben compreso il pericolo rappresentato dal suo ex alleato, si accinse a difendere la Capitale ad ogni costo. Il primo inverno di guerra fu pesante per entrambe le parti; il contrattacco sovietico respinse in più punti l’esercito nazista.
La madre di tutte le battaglie si combatté a Stalingrado, dal 23 agosto 1942 al 2 febbraio 1943. E’ scritto in un resoconto: Nella steppa, lungo le sponde dei grandi fiumi Volga e Don, ma soprattutto tra le rovine di Stalingrado, si affrontarono, per 7 mesi, più di tre milioni di soldati, decine di migliaia di cannoni e migliaia di aerei e di carri armati. La grande metropoli russa, conquistata dai tedeschi, durante la seconda parte della guerra, fu accerchiata dai sovietici e si aprì una fase bellica di inusitata violenza. La Wehrmacht puntò su Stalingrado per annientare i grandi impianti industriali e per l’effetto propagandistico che avrebbe fatto la caduta della città che portava il nome del capo sovietico. Fu un insuccesso militare dalle proporzioni inusitate.
Infuriarono feroci combattimenti e Stalingrado, sottoposta ai bombardamenti ed al fuoco delle artiglierie tedesche, ben presto venne devastata. Il peggio però doveva ancora venire. E venne quando i russi misero in campo, sull’intero fronte del Don, una nuova e poderosa forza corazzata. Giocò a loro favore anche il logoramento delle truppe avversarie, costrette a battersi molto lontano dalla Germania e in condizioni ambientali avverse. La situazione si capovolse: gli assedianti divennero assediati nella sacca di Stalingrado. La poderosa 6^ Armata del Feldmaresciallo del Reich Friedrich Paulus dovette subire un duro e implacabile assedio, con il termometro a picco.
All’inizio, ci sarebbe stato ancora spazio per tentare una ritirata, ma Hitler dette l’ordine di resistere “fino all’ultimo uomo e all’ultima cartuccia”. Si cominciò a combattere all’interno della città, casa per casa, con una sterminante carneficina. Finché Paulus decise di arrendersi. La più sanguinosa operazione bellica del 2* conflitto mondiale s’era conclusa. Non restava che fare la conta delle perdite umane. Da parte sovietica, il totale fu di 478.000 tra morti e dispersi, oltre a 650.000 feriti. A dar credito alle fonti di Mosca, l’esercito dell’Asse (del quale faceva parte l’8^Armata italiana, l’ARMIR) perse, in cifra tonda, un milione di soldati, compresi i dispersi e i prigionieri. Per Hitler, come per Napoleone, s’era avviata in Russia – usando una macabra espressione nazista – la “soluzione finale”.