Di Adriano Marinensi – Nel Medio Evo, l’antagonismo tra i regnanti europei e il Papato s’è preso decenni di storia. Uno dei Pontefici che dovettero impegnarsi a fondo per difendere il prestigio e il potere della Chiesa fu Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, nato ad Anagni ed eletto Papa la vigilia di Natale del 1294. Ha avuto fama anche per aver indetto il primo Giubileo della cristianità.
Apparteneva ad una delle più importanti famiglie della nobiltà romana, in lotta aperta con i Colonna, per la supremazia temporale e il governo economico dei possedimenti ecclesiastici. Bonifacio sali al Soglio subito dopo Celestino V, fatto Papa il 5 luglio 1294 e dimessosi il 13 dicembre dello stesso anno. Per Celestino, l’ “Habemus Papam” fu proclamato a Perugia, dove s’era riunito il Sacro Collegio, allora formato da soli undici Cardinali, pochi, in compenso abbastanza litigiosi. Le trattative andavano per le lunghe quando irruppe nella sala del Conclave Carlo D’Angiò, Re di Napoli. Aveva urgente bisogno del sigillo pontificio sopra un trattato con il Re di Sicilia. Fu cacciato in malo modo, però il suo intervento servì per convincere gli Eminenti Padri, che – dopo 27 mesi di Sede vacante – era ora di concludere. E andarono a cercare sul monte, l’Eremita Pietro da Morrone. Bollato da Dante come “colui che fece per viltade il gran rifiuto”.
Presentato sommariamente il primo protagonista di questo racconto (d’estate), cioè Bonifacio VIII, ecco il secondo. Si tratta di Filippo IV, Re di Francia, detto il Bello. Regnò dal 1285 al 1314. Apparteneva alla dinastia dei Capetingi, che ebbe come capostipite Ugo Capeto, diventato Sovrano dei francesi intorno all’anno 1000. Ampliò il dominio della corona sposando Giovanna di Navarra e dedicandosi al consolidamento della sua autorità. A tale scopo, dette inizio ad un aspro confronto con la Chiesa di Roma, sino al punto di proclamarsi Vicario di Cristo in Francia. Antesignano di Adolf Hitler, si mise pure a perseguitare gli ebrei, li espulse dal regno e procedette alla confisca dei loro beni. Poi aprì le ostilità con il Clero cattolico, imponendo una tassa sui beni posseduti.
Papa Bonifacio non la prese per niente bene e cominciò a minacciare anatemi. Aveva già, a Roma, i suoi guai per l’ostilità della famiglia Colonna che lo riempiva di accuse, compresa quella di aver fatto imprigionare il predecessore Celestino. Colonna contro Caetani, pure per interessi economici, in quanto ognuno cercava di arraffare ricchezze, sia a Roma, sia ad Anagni. Stefano Colonna, il Vecchio, ardì addirittura prendere d’assalto un convoglio papale, rubandogli una somma enorme in fiorini d’oro. Sempre i Colonna si fecero promotori di un “manifesto” pieno di pesanti imputazioni a danno di Bonifacio. E lui li privò delle cariche ricoperte e delle prebende connesse. Alla fine della contesa, i Colonna furono sconfitti, ma pronti alla vendetta.
Approfittarono dell’occasione offerta dalla disputa tra Bonifacio e Filippo e si schierarono dalla parte del Re di Francia. Filippo aveva in animo addirittura di far arrestare il Papa, portarlo a Parigi, processarlo e spogliarlo dell’abito bianco. Venne a sapere Filippo che da Anagni, dove il Pontefice aveva fissato la sua cattedra, stava per essere emanata una bolla di scomunica nei suoi confronti. Era quindi urgente agire. Anagni è una pittoresca città del Lazio dove il Papa possedeva terre e palazzi, compreso il poderoso castello di famiglia. Ha l’onore di aver dato i natali a 4 Sue Santità. Il Pontefice dunque è nella sua casa – fortezza, quando arriva un nucleo di armigeri guidati da uno dei rampolli di casa Colonna, Giacomo, detto Sciarra perché un po’ fumino e da Guglielmo di Nogaret, in missione in Italia per conto di Filippo. Bonifacio chiama in sua difesa i concittadini che però fanno orecchie da mercante. Anzi si schierano a sostegno degli aggressori.
Nogaret, secondo le direttive del suo Sovrano, doveva catturare Bonifacio, mentre Sciarra nutriva desideri di vendetta cruenta. Il Papa (era il 7 settembre 1303) si fece trovare seduto sopra una sedia, vestito di tutti i paramenti sacri e con un grande crocifisso in mano. Gli storiografi affermano che Sciarra Colonna si tolse il guanto di ferro dell’armatura e schiaffeggiò il Pontefice, profferendo parole blasfeme. Un oltraggio sacrilego e violento verso il Capo della cristianità, rimasto nei libri di storia. Girò voce delle angherie alle quali Bonifacio era stato sottoposto e del pericolo che correva la sua vita. Il popolo di Anagni, che aveva parteggiato per la soldataglia, insorse e cacciò gli invasori dalla città. Bonifacio libero tornò a Roma e dopo pochi mesi morì. Una corrente di pensiero sostenne per le conseguenze morali e di immagine dell’insolenza subita ad Anagni.
Tornò in una Roma in preda al disordine, agli atti di violenza, alle predonerie, all’emergenza rifiuti, alla cattiva amministrazione (fate conto, pressappoco, quella della Sindaca Raggi). Il prepotere dei nobili vi aggiungeva ingiustizie e controversie a fil di spada. Ci sarebbe voluta, allora come oggi, una “gestione commissariale”. E’, a questo punto, che entrò in scena un altro protagonista di rilievo. Si chiamava Nicola di Lorenzo Cabrini, detto Cola di Rienzo. Un giovane di talento, ottimo oratore, interessato al sapere. Si mise in testa di ristabilire l’ordine, la disciplina e rinverdire gli allori della Roma imperiale. Un intento lodevole quello di Cola, nato da famiglia plebea, però ricco di ardore, di ardire e di spirito patriottico. Il popolo di Roma tosto lo fece Tribuno e lui entrò trionfante in Campidoglio dove procedette alla emanazione degli “ordinamenti del buono Stato”. Si recò ad Avignone, ch’era, da pochi anni, iniziata la famosa “cattività” dei Papi, tornando al seguito del Cardinale Albornoz, con il titolo di Notaio della Camera Apostolica.
Ora, Cola di Rienzo aveva tutti i titoli e gli intenti per restituire dignità a Roma. I romani lo osannavano, al contrario dei nobili che lo consideravano un pericolo. Comunque, la città, con lui alla guida, attraversò un tempo di ritorno alla normalità. Come però è spesso accaduto per i fautori delle rivoluzioni, la smania di potere corruppe anche Cola di Rienzo che cominciò ad assumere atteggiamenti dispotici e manie di grandezza, molto sopra le righe.
Come andò a finire? Se potesse dircelo lui, sono certo lo racconterebbe così: Andò a finire che – nell’ottobre del 1354 – il popolo romano, che s’era sempre dimostrato agnello, divenne lupo. Cercai di fuggire dal Palazzo senatorio, travestito da pezzente. Mi riconobbero per via di certi bracciali preziosi che portavo ai polsi. Un popolano mi rifilò una coltellata nella panza e mi fece secco. Per Giulio Cesare, 23 pugnalate, per me una sola: il disdoro fu palese. Il mio corpo, quei ribaldi lo bruciarono. Un pessimo cronista scrisse: Era grasso. Per la molta grassezza, da sé ardeva volentieri. I posteri mi hanno trattato molto meglio, con una targa nella casa dove nacqui, un monumento e una strada, a Roma (Via Cola di Rienzo). E addirittura un’opera lirica, “Rienzi, l’ultimo dei Tribuni” di Richard Wagner. Segno che sono stato un personaggio da immortalare.