Di Adriano Marinensi – Era nato a marzo (il 12 del 1921), nella Torino ancora prefascista ed è morto a gennaio (il 24 del 2003). Aveva un nome altisonante: Giovanni Agnelli, detto Gianni, più coralmente l’Avvocato (laureato in legge). Un big dell’industria, con qualche quarto di aristocrazia per via della madre Virginia Bourbon del Monte dei Principi di S. Faustino. Soprattutto nobile per discendenza dal “trono FIAT”, la vera “monarchia” regnante nel nostro Paese dall’inizio del XX secolo. In America, lo chiamavano infatti “il re non incoronato d’Italia” ed è stato, per tanti anni, l’italiano più noto ed ammirato all’estero. Due “dinastie” ha dato Torino all’Italia: i Savoia e gli Agnelli; delle due però quella operosa e nobile nell’azione, è stata la “monarchia dell’automobile”, mai detronizzata.
Nel 1966, Gianni divenne Presidente, raccogliendo il testimone dal mitico Vittorio Valletta che aveva fatto diventare la FIET un gigante. Gestire la fabbrica torinese, la grande azienda metalmeccanica, fu l’impresa impresa della vita di Gianni Agnelli. Con lui s’è modernizzata e in lui ha trovato un difensore autorevole durante i periodi dell’economia difficile e delle lotte sindacali. Senza dimenticare le sue passioni: la Juventus, la Ferrari, la marineria, la collezione d’arte moderna. E la famiglia che s’era data sposando (1953) Marella Caracciolo di Castagneto. Ammirato anche per lo stile sociale, l’impeccabile eleganza, il fascino, fu sempre cosciente che essere un Agnelli comporta grosse responsabilità, soprattutto verso il mondo del lavoro ed il proprio Paese.
Così come Petronio, alla corte di Nerone, “arbiter elegantiarum appellatus fuit” da Cornelio Tacito, arbitro di eleganza fu Gianni Agnelli per i moderni. L’indossatore dell’orologio sopra il polsino e della cravatta fuori del pullover. In smoking o in jeans, aveva milioni di imitatori. Un esteta che il mondo ricorda “ambasciatore del talento italiano”, uno degli “eroi positivi” del XX secolo. A volte pure ingombrante per taluni narcisi della politica ai quali la sua figura autorevole rubava la scena.
Scrivendo di lui, i giornali hanno usato titoli così: “Ha dato 4 ruote ai sogni degli italiani”. La FIAT è stata, per decenni, nell’immaginario collettivo, uno status simbol. Anche il segno della libertà conquistata: quando voglio andare, prendo la macchina e vado. Dalla “Topolino” del 1936 alla “600” del miracolo economico. Poi, l’Alfa Romeo, la Ferrari, la Lancia, la Piaggio e non solo. L’abbiamo visto spesso camminare aiutandosi con un bastone a causa dell’incidente del quale rimase vittima lungo una strada della Costa azzurra. La vita gli ha dato le rose della fama e pure qualche spina. Tra gli insulti del destino, affrontati con dolore e dignità, la morte di Edoardo (46 anni), il figlio dall’animo fragile, gettatosi giù dagli 80 metri del viadotto, sull’autostrada Torino – Savona. E del nipote Giovanni Alberto (33 anni), l’erede designato alla guida dell’azienda, ucciso da una rara forma tumorale.
Fu uomo di potere, l’Avvocato, ed insieme pioniere del capitalismo illuminato che gli assicurava la fiducia del jet set internazionale. Non era semplicemente un capitano d’industria, ma un capo carismatico, intransigente, però autorevole. Non aveva ancora 40 anni e le sue relazioni già comprendevano i Kennedy, lo Scià di Persia, Kissinger, Rockfeller. E tra le donne di grande fascino, aveva amiche come Anita Ekberg, Rita Hayworth, Linda Christian. Teneva per modello la grande impresa americana e faceva parte di numerosi consigli di amministrazione con sede a New York, dove alloggiava in un maestoso appartamento. Ebbe chiara la visione dell’economia globalizzata. Disse una volta: “La mia avventura è diventata un viaggio emozionante dentro il futuro, la possibilità di vedere in anticipo come cambia il mondo”.
Alla chiusura del bilancio di una vita, la sua vita, vissuta in altalena, si può dire che la partita giocata ha visto più vittorie che sconfitte. L’ultima sconfitta è stata quella subita nella lotta impari contro il tumore che aveva già ucciso il nipote Giovanni Alberto e di li a poco pure il fratello Umberto. Come tutti i grandi uomini, ha lasciato alla famiglia ed al suo impero economico, una eredità difficile da raccogliere. Ma le grandi dinastie industriali trovano sempre un successore degno e capace. Perché, il loro destino si lega al futuro di tanti altri uomini ed all’intero Paese. L’azienda torinese sembra averlo trovato oggi in John (Philip Jacob) Elkann.
E’ nato a New York, nel 1976, da Margherita, figlia dell’Avvocato e dallo scrittore Alain Elkann. Non aveva ancora 40 anni quando è stato nominato (2014) Presidente della Fiat Chrysler Automobiles (FCA); è anche Presidente e Amministratore delegato della Exor N.V., la cassaforte di famiglia. Sa parlare l’inglese, il francese, il portoghese. E l’italiano, con i congiuntivi giusti, a differenza del fratello Lapo. Nel 2004, ebbero vasta eco le sue nozze con donna Lavinia Ida Borromeo, discendente della nobile famiglia di San Carlo Borromeo, alla quale appartengono due delle stupende isole (Madre e Bella) del Lago Maggiore, ove fu celebrato il fastoso matrimonio (500 invitati). Lavinia e John sono genitori di tre figli dai nomi un po’ bizzarri: Leone Mosè il primo, Oceano Noah il secondo e la terza Vita Talia. Appassionato del mare e ovviamente delle automobili – al pari di suo nonno Giovanni – ha dato conferma al proverbio secondo il quale “buon sangue non mente”.