di Adriano Marinensi – Tengo in casa, tra i pochi quadri appesi alle pareti, tre grandi foto incorniciate insieme. Ci sono io ritratto nelle immagini e un Uomo vestito di bianco che tiene la mia mano tra le sue. Quell’uomo è Papa Giovanni Paolo II: Un Santo mi ha stretto la mano! Accadde 40 anni fa, nel 1981, il 19 marzo, in occasione della Visita apostolica alle Acciaierie di Terni, quando il Pontefice – rivivendo i suoi trascorsi di lavoratore in Polonia – sedette a pranzo tra gli operai. In città e in Umbria fu festa grande. L’elicottero bianco atterrò tra la folla al mattino e ripartì il pomeriggio, dopo la Messa solenne celebrata allo stadio gremito di folla. Vivemmo una giornata memorabile.
Passarono due mesi e, il 13 maggio, in Piazza S. Pietro, a Roma, il turco Mehemet Ali Agcia compì l’atto sacrilego che mise in pericolo la vita del Papa e in costernazione il mondo. Si salvò grazie – disse Lui – alla protezione della Vergine Maria. Era stato eletto Papa, il primo straniero dopo molti secoli, il 16 ottobre 1978 ed è morto il 2 aprile 2005; in mezzo, 27 anni di Pontificato, intenso, autorevole, quasi rivoluzionario nella sua originale opera di evangelizzazione. Una lunga e incisiva presenza, in parte vissuta sulla Croce della malattia. E’ stato canonizzato il 27 aprile 2014, da Papa Francesco e, nel calendario cristiano, si festeggia il 22 ottobre. Appena eletto, dalla finestra di S. Pietro, Giovanni Paolo II disse ai fedeli la famosa frase: Se sbaglio mi corrigerete. E ai medici, sul letto di morte: Lasciatemi tornare alla casa del Padre mio.
In Italia, durante il 1981, accadde un altro evento che coinvolse emotivamente l’opinione pubblica. Siamo nelle campagne di Vermicino, nel territorio romano di Frascati. Il 13 giugno, nel tardo pomeriggio, un gruppo di persone sta concludendo la gita nei campi. C’è con loro anche il piccolo Alfredo Rampi di anni sei. Chiede al padre di tornare a casa, correndo da solo lungo una scorciatoia. Ma, a sera, non è ancora arrivato. Scattano l’allarme e le ricerche. Viene scandagliato un pozzo artesiano molto stretto e profondo: Alfredino è caduto li dentro.
Lo sentono piangere e invocare la mamma. Comincia il suo calvario, della famiglia e dell’intero Paese, incollato agli schermi TV per la commovente diretta. In poche ore, centinaia di persone si affollano intorno a quel pozzo. Arriva addirittura (decisione quanto meno inopportuna) il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Dentro il cunicolo, nel tentativo di trarre fuori il bambino, si infilano a testa in giù, alcuni intrepidi volontari. Viene scavato un pozzo parallelo, ma senza l’atteso risultato. Il dramma dura tre giorni, poi, piano, piano, le speranze svaniscono. Nel buio profondo di quel cunicolo, alla fine la straziante voce di Alfredino si spegne. Il dramma era compiuto. Da quel salvataggio fallito nacque la Protezione Civile.
Di tutt’altra atmosfera le immagini televisive provenienti da Londra, dove – il 29 luglio 1981 – si celebrava lo spettacolare matrimonio tra il Principe (mica tanto azzurro!) di Galles, eterno erede al trono d’Inghilterra, e Diana Spencer, più tardi nota come Lady D. Lei affascinante, lui un po’ meno. E’ il solito matrimonio del secolo, la folla immensa e trepidante accalcata lungo le strade percorse dal corteo regale e 2000 invitati in Chiesa a fare da fastosa tappezzeria. Il trionfo della nobiltà, raccapezzata in giro per le corti europee. Abito bianco per lei, “adornato di pizzi antichi e uno strascico lungo sette metri”. S’erano conosciuti, lo sostiene il protocollo di Corte, durante una battuta di caccia (mica in ufficio!) e siccome c’era fretta nel dare al Principe una moglie, si andò rapidamente all’altare. Nella Cattedrale – disse più tardi Diana – eravamo in tre, alludendo alla presenza indesiderata di Camilla Parker, l’antica amica del cuore di suo marito.
A Buckingam Palace, 120 partecipanti al taglio delle 27 torte nuziali, l’immancabile bacio degli sposi ai sudditi dal balcone ed i fuochi d’artificio da mille e una notte. La favola bella durò poco, perché vennero periodi grigi nel rapporto tra i coniugi, fino al giorno (31 agosto 1997) del tragico e misterioso incidente stradale, quando Diana morì nel tunnel buio che passa sotto il Ponte de l’Alma, a Parigi, mentre era in macchina col suo nuovo compagno, l’imprenditore egiziano Dodi Al – Fayed. Passarono otto anni e il 9 aprile 2005, il vedovo Carlo (non proprio inconsolabile) portò all’altare finalmente Camilla. C’è una foto ufficiale di quelle nozze dove si vedono i novelli sposi, i due figli di primo letto di lei e i due del consorte, in mezzo la Regina vestita di bianco da capo a piedi. Come si suol dire, una splendida famiglia allargata. E vissero tutti felici e contenti.
Castiglion Fibocchi è un paese della Toscana, in provincia di Arezzo. Il depliant sostiene che vi si possono ammirare interessanti esempi di tipica edilizia rurale, con il portico e le antiche logge. Di loggia una più nota ce ne fu, massonica e segretamente nascosta a Villa Wanda ch’era di proprietà del finanziere d’assalto Licio Gelli, per gli amici (e che amici!) il Venerabile Maestro. Il vocabolario, più pesantemente, lo definisce “criminale italiano, capo della associazione illegale P 2” (Propaganda 2).
L’omonimo scandalo, anzi il terremoto politico, comincia il 17 marzo, anch’esso del 1981. Ci sono due magistrati che indagano sul falso rapimento del bancarottiere Michele Sindona, un altro birbaccione dell’epoca. Su tale faccenda, c’è puzza di bruciato pure attorno a Villa Wanda dove si presenta un gruppetto di “vestiti uguali” con in mano il mandato di perquisizione. Cercano indizi per l’inchiesta e trovano, per caso, un elenco lungo, lungo, di nomi altisonanti, affiliati alla loggia guidata da Gelli. Ci sono dentro “papaveri alti, alti” appartenenti alla politica, alle forze dell’ordine, al giornalismo, al mondo finanziario, ai servizi segreti. Loro e tanti altri iscritti all’associazione per fare cosa? Beh, ci si poteva realizzare, per esempio, perché no, un bel colpo di stato di stampo neofascista. Oppure operare un autoritario controllo del Paese, magari riducendo gli spazi alla democrazia della quale una combriccola di quei soci non aveva alcuna simpatia. Del dominus P 2 c’è una tessera, rilasciata a lui il 23.5.1941, in qualità di “Responsabile nazionale organizzazione fasci di combattimento esteri”. Hovvia, bischero!
Fece sapere Gelli: “Avevamo l’Italia in mano. Con noi c’era l’Esercito, la Polizia, la Guardia di Finanza, tutte forze comandate da appartenenti alla loggia”. Capito che razza di mandrakata? Quell’Italia, ancora alle prese con l’ultima fase del terrorismo, parve sottosopra. Elevate cadreghe finirono sgangherate. Poi, passò il solito Gattopardo, mischiò le carte in tavola, in modo che qualcosa cambiasse e molto rimanesse come prima. E Licio Gelli, l’artefice dell’inguacchio? Condannato per una “canestra” di reati, ha finito i suoi giorni a Villa Wanda, il 15 dicembre 2015, alla veneranda età di anni 96, circondato dall’affetto dei suoi cari. Stava scritto nel manifesto.