di Adriano Marinensi – L’anno 1991, è ricordato soprattutto per ciò che avvenne a Mosca. In pochissimi giorni di quell’estate, gran parte dei Paesi facenti parte dell’Unione Sovietica, dichiarò la propria indipendenza. Il potente Orso russo – nato sotto la guida di Lenin, nel 1922 – scomparve in pochi giorni. In Italia, l’informazione nazionale fu invece impegnata da un femminicidio commesso, a Roma, nel quartiere VIP dell’Olgiata. Un romano, per abitare all’Olgiata doveva essere di rango economico elevato, perché l’edilizia esclusiva della zona era fatta di ville con piscina e ampio giardino. Insomma, roba da ricchi.
Lo erano i coniugi Pietro Mattei e sua moglie Alberica Filo della Torre, genitori di due figli allora adolescenti. Abitazione di lusso e servitù, però una vita senza eccessi, d’amore e d’accordo. Pietro, persona seria, è un imprenditore edile di buon costume, mica un palazzinaro. Lo ha aiutato la fortuna ed ora vive nell’agio, all’Olgiata, appunto. Alberica, una nobile di origine napoletana è stata sposata, in prime nozze, con un Principe di pari lignaggio; poi – come s’usa tra i “quarti di nobiltà” – ci ha pensato la Sacra Rota ad annullare l’unione.
E’ una placida giornata d’estate del 1991 ed a Villa Mattei in tanti si sono alzati alla buon’ora. Famigli ed operai. Nel calendario, la data del 10 luglio, Alberica e Pietro l’hanno cerchiata in rosso: Cade una ricorrenza importante da festeggiare, il decimo anniversario del loro matrimonio. Sono in corso i preparativi per la festa con gli amici, programmata per la stessa sera. Un bel trambusto, con gente che va e che viene. L’alba è lontana, quando la Contessa scende per colazione; poi, risale in camera. Si ha bisogno delle sue direttive e quindi una cameriera e la figlia di lei salgono al pieno di sopra e bussano alla porta. Nessuno risponde, forse si sarà riaddormentata. Più tardi, al secondo tentativo, di nuovo silenzio. Allora, è allarme. Si cerca la chiave e viene aperta la porta: Alberica si trova a terra morta, la testa avvolta in un lenzuolo insanguinato.
Perché, sto facendo di nuovo il racconto? L‘appiglio va ricercato in una recente informazione secondo la quale, l’autore dell’omicidio – condannato, dopo 20 anni di tranquilla innocenza, alla modica pena di anni 16, addirittura ridotti a 10 – sta per uscire di prigione. A norma di legge. Però, dal punto di vista della giustizia giusta, un po’ a tradimento. Soprattutto per i familiari della vittima che hanno cercato, con tutte le forze morali ed economiche, di raggiungere cocciutamente la verità rimasta a lungo introvabile. Pure a causa di “cercatori” inadeguati ed approssimativi.
Ma, torniamo sulla scena del crimine. La contessa è stata prima stordita con un corpo contundente, quindi strangolata. Ad interpretare bene la vicenda delittuosa e siccome mancano molti gioielli, l’ipotesi d’acchito potrebbe essere: Un ladro, non del tutto estraneo all’ambiente interno, è penetrato nella camera durante la breve assenza della donna per la colazione, ha razziato i preziosi e, scoperto da lei nel corso del furto, l’ha uccisa. C’è in giro, il figlio, un po’ balengo dell’insegnante privata dei ragazzi Mattei. Entra ed esce subito dalle indagini, in quanto riconosciuto estraneo alla vicenda. Allora viene chiamato in causa il cameriere – maggiordomo, licenziato da poco tempo per un episodio scostumato di ubriachezza. Secondo gli investigatori, non c’entra manco lui. Ci sarebbe da obiettar loro che, se avessero letto qualche libro giallo, si sarebbero accorti che spesso l’autore di tali fatti di sangue è proprio il maggiordomo. Ma, tant’è.
Ed ecco il colpo di teatro che da notorietà agli inquisitori (altro che la ricerca dei rubagalline). Soprattutto la T. V. si nutre di notizie di grana grossa e il rumore che riesce a fare attira quanti sono amanti di emozioni forti. Anche un anonimo commissario dall’accento siculo può conquistare fama. Ecco lo scoop: In Svizzera si scoprono conti bancari intestati alla vittima. Siamo nel clima torbido dei fondi neri del SISDE e dei Servizi segreti deviati. Ipotesi suggestiva: piatto ricco, mi ci ficco. Peccato che i quattrini elvetici di Alberica abbiano il pieno crisma della legalità.
Si va avanti tra ombre tante e luci poche (anzi niente). Alberica, poco più che quarantenne, era di bell’aspetto e potrebbe essere un delitto passionale, opera di un drudo deluso. Ma quale drudo! La signora appare al di sopra d’ogni sospetto (al pari della moglie di Cesare: Orazio, Ars poetica) “dedita – risulta – al sostegno di opere di beneficenza”. Una pia donna. Passa il tempo e non si riesce a tirar fuori il ragno dal buco. La magistratura decide di archiviare. Pietro, il marito, si oppone e chiede di riaprire le indagini. Richiesta accolta. Le tecniche investigative, nel corso del lungo periodo, si sono affinate e possono cercare, per esempio, riscontri ematici, precedentemente insufficienti.
Entra in campo il RIS, il Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri. Sul luogo dell’omicidio, all’origine dell’inchiesta, sono state rinvenute tracce di sangue dell’omicida. Vengono comparate con il DNA di tutti i possibili sospettati. E, dopo 20 anni (dicesi, anni venti), si scopre la compatibilità con il cameriere – maggiordomo, troppo disinvoltamente “assolto” dagli inquirenti della prima ora. Si chiama Manuel Winston Reyes. Arrestato e reo confesso. E’ lui lo strangolatore della Contessa Alberica Filo della Torre. E’ quello che, dopo aver pagato l’esiguo conto per il reato commesso, prossimamente diventerà un libero cittadino. In passato, Pietro fece pubblicare una lettera che comincia così: “Cara Alberica, 20 anni fa, una mano assassina ti strappò alla vita, distruggendo il sogno che avevamo costruito con amore: la nostra famiglia.” Ha detto il figlio, di recente: “Mio padre non c’è più (è morto il 24 gennaio 2020, n.d.a.). Meglio così, non ha assistito a questo obbrobrio”.
Siamo in tema di cronaca nera e allora ci metto questa aggiunta. Ho letto, nell’informazione locale umbra, questi titoli: “Finisce in manette per la mala movida”; ancora “Mala movida, così aggirano le restrizioni”; inoltre “A Perugia, 35 nuovi agenti per contrastare la mala movida e la droga”. Di nuovo: “Perugia, alcoltest per battere la mala movida”. Come sarebbe a dire, mala movida? A Terni, nel passato prossimo, non avevano detto – voci autorevoli, mica quisque de populo – che la movida era “una risorsa economica ed occupazionale per la città”? Ora, un po’ dovunque, par diventata mala movida. Il contrordine è per gli “allievi” di Alberto da Giussano.