di Bruno Di Pilla
Prima il Covid, poi la sciagurata guerra di Putin in Ucraina e l’inarrestabile diffusione planetaria delle droghe, l’esodo biblico di migranti, violenze di genere e femminicidi in serie, il nichilismo antropologico e culturale delle nuove generazioni hanno innegabilmente reso più fragile e diffidente l’umanità.
Il solo Papa Francesco, con i suoi reiterati appelli alla pace e alla solidarietà, prova ad innestare una difficile retromarcia in un mondo ostile, privo di dialogo e solide idealità. Tuttavia, almeno tra le mura di casa, nei campionati italiani, noi appassionati di calcio ci rifiutiamo energicamente di ammainare le bandiere del cuore. Malgrado la travolgente avanzata del denaro, che ha trasformato in insaziabili mercenari atleti e procuratori, a noi amanti del caro vecchio pallone, giovani e vecchi, nulla potrà mai strappare dai meandri della coscienza la vivissima ammirazione per i grandi campioni del passato, non importa quanto remoto.
Milioni di connazionali, ad esempio, si sono commossi nel vedere il dialogo sincero fra Totti e Del Piero negli studi tv, in occasione del ventesimo anniversario di SKY. Di Maldini e Zanetti hanno parlato sin quasi alle lacrime i due storici numeri dieci, che hanno fatto gioire e sognare generazioni d’innamorati dello sport più bello del mondo.
In generale, al di là delle appartenenze, nessuna metamorfosi kafkiana potrà mai farci dimenticare le gesta e le sofferenze di Gigi Riva, della “farfalla” granata Gigi Meroni, di Roberto Baggio, John Charles e Omar Sivori, Giacomo Bulgarelli, Bruno Conti, Giancarlo Antognoni, Giorgio Chinaglia, Davide Astori, Renato Curi, Roberto Pruzzo, Vincenzo D’Amico, Gianluca Vialli, Luisito Suarez, Mariolino Corso, dei gemelli del gol Graziani e Pulici.
Come dire che resterà sempre fuori dai terreni di gioco la società “liquida” e indifferente, in cui sembra predominare uno sfrenato affarismo.