Applausi a Cecilia Berioli al violoncello, Luca Ranieri al violino e Gianluca Luisi al pianoforte
Domenica scorsa, con la città inondata di turisti, a palazzo Cesi si è tenuto l’ultimo concerto della rassegna “Season of love” indicazione che racchiudeva altrettanti atteggiamenti dedicati al più esteso dei sentimenti umani. Umbria Ensemble si è fatto carico della accezione più estesa, quello dell’amore per l’arte. Latitudine immensa che si è creduto di poter delimitare facendo appello al nome più spendibile, quello di Beethoven, colto nella sua fase germinativa di demiurgo della musica europea.
Ora Umbria Ensemble, complesso strumentale di radicata presenza perugina, è una formazione modulare che può articolarsi in molte combinazioni: anni di esperienze consentono oggi ai suoi componenti di assumere organici dal duo al quartetto, fino all’ottetto, con una latitudine di repertorio praticamente proteiforme. Per definire l’oggetto della scelta si era indicato “Titano della musica” per indicare ciò che il giovane Beethoven, avrebbe sviluppato in seguito, perché in quel lasso di tempo tra la fine del 1793 e il ’94 il ragazzo, che era sceso a Vienna dalla remota Bonn era un giovane infagottato da abiti di provinciale, rozzo di maniere, inesperto di rapporti sociali e delle convenienze in vigore tra gli aristocratici viennesi, i veri padroni della musica. Facile immaginare il timore di Haydn, sincero sponsor del giovane renano, quando, in casa del principe Lichnovsky, uno dei primi e più fedeli ammiratori di Ludwig, si attendeva l’esecuzione dei suoi Trii opera 1. Hadyn lo sapeva per certo che il terzo, quello dalle forme guizzanti, non sarebbe piaciuto per il suo aspetto fortemente innovativo, ma sui primi due si poteva almeno scommettere. Perché la forma musicale riusciva a contenere, seppure in maniera strizzata, una ricchezza di idee che stupiva, ma riusciva rimanere nei limiti della “temperatura” espressiva accettata. Fu così che al termine della esecuzione, il principe diede seduta stante l’avvio di una sottoscrizione che raggiungere i cento fiorini, l’indispensabile per l’edizione di Artaria.
Domenica pomeriggio, nel salone che vide certamente il duca e uomo di scienza Federico Cesi conversare col sommo Galilei, Umbria Ensemble ha dato vita a una vibrante versione del terzo trio dell’op.1, destinato a provocare lo choc anafilattico di Haydn. Chi ricorda il film vetusto di Walt Dismey, su Beethoven “giovane ribelle” sa come la finzione della pellicola riproducesse, seppure “all’americana” lo sconcerto dei primi ascoltatori. La “collera di cui parlava Cioran è ancora niente confronto di ciò che verrà dopo. Eppure in quelle frasi serpentine, anelli di suoni urticanti come i filamenti di una medusa, si percepisce la sbocciante volontà di un giovane che, come un moderno rapper, voleva imporre la sua concezione di una acustica martellante, sorretta da ritmi incalzanti e in grado di innalzare l’acustica della formazione a volumi che prima di quel momento nessuno aveva mai sopportato. E’ il Beethoven che ci piaceva quando eravamo molto giovani, impositivo e provocatorio, sicuro di sé e strafottente, in cui ci riconoscevamo quando sbocciavamo alla musica. La Ginzbuerg lo avrebbe collocato in un lessico “estraniato”, una protuberanza cuneiforme che cominciava a scalzare, dalle fondamenta, le convinzioni del secolo dei Lumi. Beethoven, scarpe grosse e cervello finissimo, aveva capito dove stava parando il mondo delle idee. E i suoi ormoni gli avevano fatto già assaporare l’aroma dell’amore. Come quando il violoncello, nell’Andante Cantabile, enuncia la prima di quelle profonde frasi piene di sentimento che per ora Beethoven indirizza nel vuoto della assenza di un oggetto palpabile, che si consumeranno prima per la molte donne della sua vita, poi in un afflato di fraternità per l’intera umanità. Una esemplare dizione strumentale dei musicisti umbri ha innervato il Trio iniziale, per poi rinnovarsi in un’altra proposta, quella del Trio op. 11 di un Beethoven, zampillante e festoso, un sigla sonora di quegli amici a cui piacer fare scherzi anche grossolani, ma che poi non gradiscono riceverne.
In una sala dominata dai pesanti cassettoni di legno, tutt’altro che leggiadri, ma funzionali alla acustica, il pubblico era molto e disposto a festeggiare un appuntamento promosso da Fabbrica Harmonica Aps Ets, e sorretto da Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni e dalla amministrazione comunale, nonché dalla Diocesi. Applausi a Cecilia Berioli al violoncello, Luca Ranieri al violino e Gianluca Luisi al pianoforte.
Stefano Ragni