Un tempo illuminavano le notti d’estate con i loro “punti di luce”
di Adriano Marinensi
Quando fui bambino, un incanto che attirava l’attenzione, erano le lucciole vagabonde, quei minuscoli insetti capaci di schiarire le notti d’estate. Arrivavano, come per magia, a popolare la campagna intorno a casa con i loro messaggi d’amore. Perché la luce intermittente che emanano, oltre ad essere lo stupore suscitato dalla natura, serviva anche a fare da richiamo per riprodurre la specie.
E’ remota la mia epoca adolescente, quando l’imbrunire si popolava di scintille e si spandeva il profluvio odoroso del grano appena mietuto. Era festa nello “spiazzo” della casa colonica: all’arrivo della trebbiatrice, le voci e i canti riempivano l’allegria. Oggi, i costumi e le tradizioni sono mutati. Le lucciole, forse per protesta, hanno abbassato l’effetto ipnotico del coro fosforescente.
S’è ritratta la capacità di far luce per favorire quei romantici incontri. La metamorfosi antropologica sta spegnendo anche la loro stagione degli amori. Altro che “reazione chimica” dell’addome! La luce avverte che lucciole e luccioli sono innamorati. Ed è romantico pensare che siano tutte polvere di stelle, portatrici della grande bellezza.
Creature affascinanti le lucciole, oggi quasi in via di estinzione causa la prevalente mutazione dell’ habitat e l’esasperata illuminazione del territorio. Nelle città, c’è pure lo smog ladro di salute. Quasi, quasi, il progresso dell’uomo versus le lucciole. Sin dal nome scientifico: Le chiamano lampiridi, un appellativo che pare dissacrante. Purtroppo, la fuga di esse rappresenta un segnale di pericolo. Pier Paolo Pasolini, una cinquantina di anni fa, lanciò un grido d’allarme: Le cause – scrisse – sono l’esagerata urbanizzazione e la sofisticazione dell’aria.
Mi viene da scrivere: Ecco la lucciola, ora guizza sul ruscello, ora s’aggira sull’aia, si direbbe un piccolo astro ramingo, cullato da un concerto di grilli e rapito da un fanciullo incantato; io lodo te, lucciola raminga che fai della notte un cielo stellato. Ha scritto Trilussa: “La luna piena minchionò la lucciola: Sarà l’effetto dell’economia, ma ‘sto lume che porti è deboluccio. Si, disse quella, ma la luce è mia”. Purtroppo oggi pure gli uomini lucciola sono diventati pochi. Prevalgono gli altri che vivono di luce riflessa. Come la luna.
Paiono in declino parimenti le rondini (e i balestrucci). Il vecchio proverbio è stato tradito: “Per San Benedetto, ogni rondine al tetto”. Tradito il ritornello che cantava: ”Sotto la gronda della torre antica, una rondine amica, allo sbocciar del mandorlo è tornata”. Prima si, ora non più. Le statistiche sostengono che, durante gli ultimi decenni, in Europa, sono mancate 6 milioni di coppie. Come le avranno contate!
Le ritrovi ancora nelle poesie dei bambini: “Rondinella pellegrina che ti posi sul verone e ricanti ogni mattina la tua flebile canzone”. Si sta dileguando il ciarliero gorgheggio e, senza di te, la stagione dei fiori non sembra sbocciata. La colpa principale è la crisi degli alloggi, quelli che le rondini costruivano con il fango nel becco, nascosti dalle tegole delle cascine. Forse quelle vicine di casa si sono sentite male accolte e hanno mutato percorso. La LIPU ha lanciato un singolare appello: “Aiutateci a ritrovare le rondini”. Sarà una missione difficile da realizzare. Diciamo spesso che “una rondine non fa primavera”, però spariti i voli radenti, dall’alba al tramonto, la primavera è senz’anima. E in cielo manca qualcosa.
Come la lucciola, la rondine è un marcatore ecologico e quindi la ritirata deve destare preoccupazione. Non soltanto l’habitat è diventato meno accogliente, ma le nostre condizioni di vita hanno subito un vistoso deterioramento. Soprattutto nelle città dove le rondini mettevano su famiglia e allevavano i rondinini. Dalle nostre parti, per loro, manca pure il sostentamento e quindi la vecchia cultura dell’accoglienza non fa più attrazione. Peggio per noi.
Pensiero randagio (come una lucciola)
Sere addietro, il TV, ho rivisto una delle adunate oceaniche tradizionali a Piazza Venezia, durante il fascismo, con il burattino pavoneggiante sopra il verone. Ho rivisto quel raduno tragico del 10 giugno 1940, quando una folla straripante tributò l’osanna a colui che disse: “La dichiarazione di guerra è stata già presentata agli Ambasciatori di Francia e Inghilterra”. Per una infinità di nostri giovani, fu la condanna a morte.
Mi sono chiesto: Dov’’erano tutti quegli isterici plaudenti, quando i loro padri, i figli, i fratelli, i mariti furono mandati a morire sulle sabbie ardenti dei deserti africani e nel gelo delle steppe russe, in migliaia senza neppure un sepolcro?
E perché, ancora oggi, ci sono braccia alzate in segno di ancestrale ricordo dell’ ideologia liberticida e in tanti faticano a fare l’abiura di un regime infausto e ferino? Perché, a Predappio, religiosamente, ogni anno, in processione, si ripete l’omaggio all’artefice della più luttuosa tragedia italiana d’ogni tempo? Perché?