di Adriano Marinensi – Si è concluso da poco il Giro d’Italia con la vittoria – quasi impossibile a tre tappe dalla fine – di Vincenzo Nibali. E’ nato un nuovo “campionissimo” ? E’ troppo presto per “certificarlo”, pur se il campione italiano ha già vinto due Giri, un Tour e una Vuelta.
A proposito di grandi campioni, un amico, appassionato di ciclismo, mi ha detto: “Hai scritto di Girardengo, di Coppi e Bartali, di Pantani, non puoi fare torto ad Eddy Merckx”. Detto ”Mister 525” (vittorie su strada).
E già, dimenticarlo sarebbe uno sgarbo allo sport della fatica e del coraggio, che spesso avvicina l’uomo all’impossibile. Sin dai tempi eroici delle strade sterrate, delle biciclette primordiali, quando si partiva di notte e si arrivava all’imbrunire. Allora, i tempi di percorrenza si misuravano con un orologio qualunque. E le distanze erano martorianti. Un esempio ? Eccolo: nel 1906, il Giro del Piemonte, quando nacque, si disputò sui 230 km; l’anno successivo, forse parvero pochi e quindi lo allungarono a 309. Non fecero alcuna paura a Giovanni Gerbi che li vinse entrambi. Più tardi, vennero Brunero, Bottecchia, Binda, Belloni, Ganna, Guerra, Olmo, Piemontesi e tanti altri pionieri di ferro, con il tubolare a tracolla, nessuna assistenza tecnica, la fatica unica compagna di strada. Perché il ciclismo è sovente sforzo estremo, sudore, rincorse sitibonde in tempo d’estate.
Rispetto a Gerbi e compagnia, Eddy Merckx è il simbolo del progresso avanzato, del ciclismo moderno, però ugualmente un travaglio. Certo parlare del grande belga è un dovere. Qual è il problema ? Costringere in un articolo le gesta di un superuomo del pedale che ha dominato i suoi anni. Aveva una insaziabile voglia di prevalere, a prescindere dall’importanza della gara e della esigenza di programmare l’approccio agonistico, soprattutto nelle corse di molti giorni. Alcun riguardo per nessuno, neppure per sé stesso. Prevalse su ogni percorso, un istrione dello spettacolo sportivo, capace di stupire le platee.
Gli antichi lo avrebbero paragonato ad Ercole, un semidio. D’altronde, un ciclista che, in carriera, vince 5 Giri d’Italia e 5 Tour de France non può essere considerato un abitante di questa terra, ma da collocare al di fuori delle normali cronache agonistiche. Molti suoi colleghi hanno conquistato spazi di notorietà vincendo la cosiddetta corsa di primavera, da Milano a Sanremo; lui, di Sanremo ne ha vinte 7. Di solito, si riesce a farsi un nome salendo sul podio di un Campionato del mondo; lui di maglie iridate ne ha indossate 3. Oppure, conquistare il traguardo in una delle cosiddette classiche del nord. Per esempio, di Liegi – Bastogne – Liegi, lui ne ha vinte 5. Tra Giri delle Fiandre, Freccia Vallone, Parigi – Rubeaux, Giro di Lombardia, Eddy Merckx, in totale ne ha conquistati 10.
Insomma, per Merckx l’incontentabile, tutti grandi numeri e un albo d’oro molto al di sopra di ogni gradino del podio. C’era, ai suoi tempi una sorta di Coppa del mondo redatta in base al punteggio attribuito per vittorie e piazzamenti. Si chiamava Super Prestige Pernod. Ebbene, il pedalatore pigliatutto, quella Coppa l’ha vinta per 7 anni di seguito, dal 1969 al 1975 compresi. Tra Giro d’Italia e Giro di Francia, ha messo insieme 59 tappe, non poche vinte per distacco. Anche prima del professionismo era stato sugli altari: da “debuttante”, 23 successi in un anno; da “dilettante”, 59 in due anni. Nell’intervallo tra una impresa e l’altra, ebbe modo battere il record dell’ora in pista alla media di quasi 50 km orari. Sempre in pista, si esibì alla grande, conquistando 17 “Seigiorni”. Per non farsi mancare nulla, prevalse anche in una Vuelta di Spagna e in un Giro della Svizzera.
Il 1974 fu, per Merckx, l’anno della gloria impossibile: primo al Giro, primo al Tour, primo al Campionato mondiale, un “triplete” straordinario e una sbalorditiva testimonianza di superba classe. Quello che per la stragrande maggioranza dei campioni è rimasto nella sfera dell’utopia, a lui riuscì per 3 volte: il grande slam, l’accoppiata Giro d’Italia – Giro di Francia (1970, 1972, 1974). C’è un altro suo record particolare, pressoché imbattibile: per 77 giorni complessivamente, maglia rosa nella “corsa rosa”. Ed ecco un paio di esempi pescati tra le vittorie ad effetto speciale. Una durante il Giro del 1968, nella tappa delle Tre Cime di Lavaredo. Sotto la neve, recuperò 9 minuti al fuggitivo Franco Bitossi, poi staccò di 4’ Motta e Zilioli, di 6’ Gimondi. Un cronista, presente quel giorno, ha raccontato: “Gli buttarono addosso una coperta e lo scortarono al rifugio di montagna, dove si lavò in una tinozza d’acqua bollente”. Secondo esempio e secondo trionfo (1969). Al Giro delle Fiandre, corso tra pioggia e vento, al termine di una fuga di 70 km, precedette al traguardo Gimondi di 5’ e Basso di 8’.
Come per Pantani, pure per Merckx, ci fu il momento della polvere dopo gli altari. Sembrava ormai l’incontrastato vincitore del Giro d’Italia 1969, quando, ad un controllo antidoping, lo trovarono positivo e venne escluso dalla corsa. La stampa di mezza Europa si schierò dalla sua parte, definendolo vittima di un complotto. Era il tempo dell’ inimitabile “Processo alla tappa” condotto da Sergio Zavoli. Fece scalpore l’intervista di Zavoli a Merckx in lacrime per il drastico esonero dal Giro. In Belgio, con una vibrata protesta, si misero addirittura a boicottare i prodotti italiani.
Colse una maiuscola rivincita, dominando il Tour 1969, che vinse con 18 minuti di vantaggio sul secondo. Fu inoltre primo nella Classifica a punti, in quella del Gran premio della montagna, della combattività e nella graduatoria a squadre con la Faema. Nel ciclismo, ci sono sempre stati gli specialisti: scalatori, passisti, velocisti. Merckx non aveva alcuna dote particolare, primeggiava ovunque. Quell’anno (1969) – riferirono le cronache – la figlia di Christian Raymond, corridore francese, chiese al padre come stava andando il Tour. E il babbo: “Questo (Merckx) non ci lascia manco le briciole”. La bambina di rimando: “Ma, allora è proprio un cannibale”. Nacque così l’appellativo del campione dei campioni: il cannibale, appunto. Nel 1975, i francesi lo decorarono con la loro massima onorificenza, la Croce di Cavaliere della Legion d’onore.