Grandi emozioni e forte impatto emotivo nel concerto di ieri pomeriggio alla Sala dei Notari. La sezione perugina dell’A.Gi.Mus. e il presidente nazionale, Salvatore Silivestro, si sono prodigati per una giornata, quella della ricorrenza dell’armistizio, che racchiude nel suo interno anche i valori della festa delle forze armate e dell’Unità Nazionale. In tale senso civile e sociale andava visto il saluto al pubblico, peraltro foltissimo, che già prima dell’orario previsto, le sedici, aveva gremito ogni posto disponibile. La Grande Guerra, del resto, alla fine del quadriennio di ogni sorta di ricorrenza, riveste tuttora un significato di consapevolezza umana che ha coinvolto l’intero continente nella commemorazione di quanta gioventù si è immolata per una conflitto fratricida che, anziché risolvere controversie secolari, le ha inasprite. Aprendo una ferita che ancora oggi può sanguinare. A questo portava la sequenza delle immagini del progetto visivo di Leandro Battistoni, con le centinaia di giovani combattenti in grigio verde, inquadrati spesso in prossimità della loro morte.
La voce di questi ragazzi, le vittime del “sacro macello”, risuonavano nelle parole di Katia Morelli e Leandro Corbucci che hanno scandito tutto il concerto: frammenti di lettere, inviate a spose, figli e madri, firmate magari un attimo primo dell’assalto o dell’annientamento sotto le bombe nemiche. Tra le righe, la fame, il sudore, il dolore, la paura.
E poi le parole delle canzoni. Le definiscono “canti di guerra”, ma in realtà sono schegge di vite spezzate, frasi di un infinito “Stabat Mater”, un Miserere di un gorgo senza fine. Vale per tutte l’invettiva “cimitero della gioventù” rivolto alla montagna, la cui indifferente bellezza ha saputo inghiottire con la solennità di Grande Madre una intera generazioni di giovani italiani.
Che in realtà non si trattasse di un concerto, ma di una sorta di rito civile di espiazione lo ha ricordato, all’inizio della manifestazione il presidente del Consiglio Comunale, Leonardo Varasano, che ha voluto ricordare come non si debba aver paura di “celebrare una vittoria”, quando la si è ottenuta al termine di un calvario che ha dato consapevolezza di unità e di fraternità a un popolo ancora nuovo alla sua unificazione. Queste canzoni che ora ascolteremo, ha ancora dichiarato Varasano, sono quelle sgorgate nella trincea, e ogni melodia è stato il viatico e l’assoluzione del combattente, strappato dalla sua casa nella speranza di contribuire, col suo sacrificio, alla nascita di un mondo migliore. Creare una canzone è come lanciare un messaggio verso il futuro: in una nuvola di note si condensa il fiato di un sofferente che vuole essere ricordato con una ammonizione: mai più guerre.
E che nessuno questa guerra la ami lo ha ricordato un professionisti di alto livello, il generale Maugeri, che ha sottolineato come dietro il soldato ci fosse l’uomo. D’altra parte questa è stata la strategia vincente del generale Diaz: riportare nelle trincee quel minimo di umanità superstite. In tal senso va letto il bollettino 1268, quello con cui l’autocrate dell’armata italiana si assegnava il merito della vittoria. E si sa che tra i consulenti dell’ufficio propaganda del comando supremo c’erano giovani ufficiali come Ferruccio Parri, Giovanni Gronchi e Ugo Ojetti, nomi che poi ricompariranno nella storia italiana.
Quando finalmente si è dato voce ai cori, è stato il momento dell’amatissimo Colle del Sole, coro della sezione perugina del Club Alpino e degli ospiti, la formazione corale della sezione CAI di Melegnano. I due gruppi si sono alternati nella esecuzione di melodie legate ai momenti della battaglia, da La Tradotta, a “Monte Canino” a “Montagne addio”, ai “Monti Carpazi”, struggente epicedio dei fanti trentini sudditi dell’Impero mandati a combattere sul fronte russo.
Mentre nelle letture comparivano i testi di Rigoni Stern e di Brecht, le musiche slittavano verso i tempi della seconda guerra mondiale, con le immagini degli alpini in Russia. E si trattava, allora di “Io resto qui” di Susana, e di “Joska la rossa” di De Marzi. Il coro di Melegnano, diretto dalla giovane Silvia Berardi ha sfogliato anche pagine del suo repertorio migliore, canti di tradizione popolare come il “Senzenina” del Sud Africa, il croato “Piovi barko” e il basco “Agur Jaunak”.
Mentre piovono gli applausi si assisteva allo scambio di doni e si festeggiavano i maestri, la giovane Silvia e Paolo Ciacci, competente e smagliante direttore del Colle del Sole. Il pubblico non defluisce e si chiede agli ospiti di Melegnano, sfiniti da quattro giorni di concerti di solidarietà tra i terremotati dell’Abruzzo un ultimo sforzo. Il Cai è anche questo, dichiara il presidente Bellucci. Leggenda del Piave e Inno di Mameli.
Stefano Ragni