L’Azienda Ospedaliera, in collaborazione con il Comando provinciale dei Carabinieri, ha organizzato una campagna di sensibilizzazione che si tiene dal 22 al 28 novembre negli ospedali italiani
L’Azienda Ospedaliera di Perugia, in collaborazione con il C.U.G. e il Comando provinciale dei Carabinieri di Perugia, ha organizzato una campagna di sensibilizzazione in occasione della settimana contro la violenza sulle donne che si tiene dal 22 al 28 novembre negli ospedali italiani con il Bollino Rosa e che hanno al loro interno percorsi dedicati di accoglienza protetta per ricevere le donne vittime di violenza.
Nella mattinata di mercoledì 22 novembre è stata inaugurata una installazione artistica, presso l’area espositiva al piano zero dell’ospedale e visibile fino al 7 dicembre, allestita dal C.U.G. – Comitato Unico di Garanzia dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, per sensibilizzare la cittadinanza e il personale sanitario contro la violenza di genere nei luoghi domestici e di lavoro.
Presente anche un info point, organizzato dal Comando provinciale dei Carabinieri di Perugia, con materiale a disposizione dove sono riportate informazioni utili e numeri telefonici da contattare – 1522 o 112 – con l’obiettivo di incoraggiare le donne vittime di violenza a rompere il silenzio.
Ad aprire l’evento la lettura di Giulia, giovane volontaria del servizio civile, che ha letto il racconto “Tre rospi” di Francesca Pecorella infermiera e scrittrice dipendente dell’ospedale di Perugia. Racconto inedito che ha ricevuto il primo premio “Anna Maria Mozzoni” al concorso nazionale “Inchiostro e Memoria 2023” del comune di Rescaldina in provincia di Milano.
Insieme al personale sanitario e ai componenti del C.U.G presente la Direzione aziendale del Santa Maria della Misericordia formata dal dott. Giuseppe De Filippis, direttore generale, dal dott. Arturo Pasqualucci, direttore sanitario e dalla dott.ssa Rosa Magnoni, direttore amministrativo.
Sono intervenuti all’evento anche l’assessore al welfare e pari opportunità del Comune di Perugia, Edy Cicchi, il colonnello Sergio Molinari, comandante provinciale dei Carabinieri di Perugia, insieme al tenente colonnello Marco Sivori, comandante della sezione operativa nucleo informativo del comando provinciale e al capitano Teresa Messore, comandante della Compagnia dei Carabinieri di Spoleto.Sono circa sessanta gli accessi con codice rosa registrati al Pronto Soccorso di Perugia da gennaio ad ottobre 2023. Il codice rosa è un percorso di accesso al pronto soccorso riservato a tutte le persone vittime di violenza e abusi e prevede percorsi gender sensitive di accoglienza e presa in carico.
IL RACCONTO
Tre rospi, racconto di Francesca Pecorella,
infermiera – scrittrice dell’Azienda Ospedaliera di Perugia.
Il racconto ha ricevuto il premio Anna Maria Mozzoni,
al concorso “Inchiostro e Memoria2023” Rescaldina (MI)
Tre Rospi
C’era fermento nella vecchia masseria, le donne erano affaccendate davanti al focolare a scaldare caldai d’acqua. Gli uomini erano nei campi, solo Oscar era rimasto in casa, seduto a capotavola cercava di farsi una sigaretta con il tabacco e la cartina. Era così agitato che gli tremavano le mani tanto da non riuscire a rollare la sigaretta. Le doglie a Zena erano iniziate e la levatrice era arrivata in bicicletta con comodo, “tanto ancora era presto”. Un vigoroso vagito e subito dopo una delle donne annunciò la nascita di una bella e sana bambina. L’uomo era così sicuro che sarebbe stato un maschio che il nome scelto era Leone, invece era nata Leonilde.
Oscar s’afflosciò come un pallone sgonfio, diede un pugno al tavolo e uscì bestemmiando. “Un’altra femmina! Era la quarta, come avrebbe fatto con tutta la terra da amministrare e lavorare! Sarebbe diventato lo zimbello dei suoi fratelli che almeno un maschio l’avevano fatto.”
La bambina ascoltando il racconto della sua nascita, si sentiva in colpa per aver deluso il padre che adorava. Per questo lei cercava di imitare i cugini maschi, odiava i vestiti con pizzi e merletti e scarpe lucide, non appena poteva correva scalza e s’arrampicava su gli alberi, giocava in mezzo ai campi. Andava a scuola contenta, aveva un’intelligenza brillante, era molto portata per la matematica.
Le sue sorelle avevano smesso di andare a scuola dopo la terza media, lei aveva chiesto di continuare a studiare, ma le donne di casa le erano tutte contro.
Lei stava sempre vicino al padre anche quando controllava i libri mastri delle proprietà. Una volta s’accorse di un errore nelle registrazioni, facendo notare un ammanco da parte di uno dei fattori.
Allora il padre le propose un patto: le avrebbe concesso di proseguire gli studi, ma alla prima insufficienza sarebbe tornata a ricamare con le sorelle.
Leonilde era felice! Emozionata al liceo della sua cittadina si ritrovò sola con altre due ragazze su venticinque alunni. Guardate con diffidenza e pregiudizio, furono prese di mira con scherzi pesanti e sbeffeggiamenti.
Un giorno alcuni maschi, fecero trovare sulle sedie delle ragazze dei rospi morti. Mentre le altre reagirono una urlando e una vomitando, lei con molta tranquillità prese i tre rospi e li riconsegnò al capobanda che schifandosi li lasciò cadere per terra proprio nel momento in cui passava il preside. Lo scherzo gli si ritorse contro, il preside gli fece una nota e convocò i genitori del ragazzo.
Quando Zena portava le ragazze in città a fare spese, lei era l’unica a tornare con dei libri di biologia e agraria che la sera, finiti i compiti, leggeva. Oscar era fiero. Al contrario Zena era molto preoccupata. Quella figlia studiava, seguiva il padre e sapeva argomentare su quando arare o seminare, disquisiva sul prezzo dell’olio, del mosto o del grano, anziché spettegolare con le sorelle davanti al fuoco ricamando o sferruzzando, sarebbe rimasta zitella e sulle loro spalle anche da vecchi.
Le sorelle più grandi si sposarono, Leonilde frequentava l’ultimo anno di liceo e già stava pensando come convincere Zena e Oscar ad iscriverla all’università.
La madre non voleva assolutamente che lei continuasse gli studi. Perciò accoglieva con grande gioia gli spasimanti che le giravano intorno. Tra questi il più assiduo era Vito, un buon partito, geometra, vantava un fratello oltre alpe con diverse attività ben avviate, ma la giovane non voleva assolutamente sentir parlare di fidanzamento.
Oscar amava quella figlia che con dolcezza giorno dopo giorno gli aveva dimostrato le sue doti di contabile e amministratore.
Sapeva che al nord qualche ragazza andava all’università, era certo che anche lei potesse farlo e sostituirsi al lui in futuro.
Erano gli ultimi giorni di liceo, la ragazza nel rientrare a casa, sentì i buoi che muggivano con insistenza, anche il pastore maremmano che stava nel recinto abbaiava agitato.
Leonilde impavida andò nella stalla, non appena entrò fu aggredita alle spalle, cercò di liberarsi da quelle braccia che la stringevano alla vita, facendola quasi soffocare, ma l’uomo era più forte di lei. La buttò sulla paglia, con una mano le tappò la bocca, con l’altra iniziò a palpeggiarla, cercando di strapparle i vestiti da dosso. Lo riconobbe, era Vito, quel giovane di “buona famiglia” che era venuto a casa per farle la corte, ma che lei aveva mandato via per andare a controllare una vacca che era in travaglio!
Ottanta chili di muscoli e rabbia erano sopra di lei e la stavano schiacciando. Grugniva come un maiale, nonostante il profumo che s’era spruzzato addosso si percepiva il puzzo del sudore impregnato d’ormoni.
Ormai la sua resistenza era allo stremo, sentiva che non ce l’avrebbe fatta a tenere le cosce serrate ancora per molto, la violenza era sempre più forte, ad un tratto quel peso sul suo corpo sparì, quel viso trasformato dall’istinto bestiale s’allontanò da lei… svenne.
Si risveglio nel suo letto con accanto sua madre che piangeva e suo padre serio in fondo al letto con lo sguardo perso nel vuoto.
Oscar era nel vigneto e aveva sentito il cane abbaiare forsennatamente, pensando che ci fossero i ladri, era ritornato verso casa, allora aveva avvertito il trambusto dentro la stalla. Era riuscito a togliere la sua bambina dalle mani di quel disgraziato, che anziché chiedere scusa, minacciò “Adesso la vostra cara figlia dovrà sposarmi per forza, perché io dirò a tutti che è stata con me!” Oscar non resistette e gli mollo due sonori cazzotti buttandolo fuori a calci.
Sua madre vicino a lei, piangendo l’accarezzava e le disse “tesoro adesso devi sposare Vito, agli occhi di tutti sei una poco di buono, resterai zitella, lui andrà dicendo che oggi eravate d’accordo per vedervi nella stalla perché noi eravamo nei campi.” Leonilde nonostante lo shock e i dolori era in piedi fuori dal letto e furente guardando suo padre urlò: “avete paura che io possa essere la vostra vergogna? Dovrei rinunciare ai miei sogni, alla mia vita ed essere condannata a stare per sempre con un violento, che mi ha trattato come una giumenta da montare? Pensi che sposandomi mi porterà rispetto? È questo che vuoi per me papà? Anche tu hai fatto così per avere la mamma? E così che mi avete generato?”
Il padre uscì di casa, prese la bicicletta e s’avviò in città.
Oscar rientrò a notte fonda, trovò le donne davanti al fuoco che sgravano il rosario e piangevano.
Leonilde corse incontro al padre che la strinse in un abbraccio, si sedette vicino al fuoco tra madre e figlia, le prese per mano e con voce calma e dolce ma che non ammette repliche disse: “sono stato a casa di Vito, il padre non appena ha saputo cos’ha fatto suo figlio lo ha riempito di botte. Sono dovuto intervenire per toglierglielo dalle mani. Siamo giunti ad un accordo. Starà zitto e andrà a vivere in Svizzera da suo fratello. In cambio noi non faremo nessuna denuncia ai carabinieri.” Leonilde rossa in viso provò a protestare, lei voleva giustizia, nessun’altra ragazza doveva sentirsi profanata come si sentiva lei, il padre la bloccò e le disse: “tu non farai nessuna denuncia. In cambio potrai andare all’università e io sarò felice di avere al mio fianco come collaboratrice e amministratrice la prima laureata della famiglia.
Leonilde, poteva avere ciò che desiderava ma il prezzo era alto, più che altro le sembrò un baratto impari, ma non poté che abbassare il capo e sussurrare “va bene.”