E’ stata rilanciata, nei giorni scorsi, una indagine interminabile
di Adriano Marinensi
Pronti, via, si riparte: la scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta a Roma il 22 giugno 1983, è tornata all’attenzione dell’opinione pubblica, perché il Promotore di Giustizia del Vaticano ha deciso di riprendere in mano il fascicolo per l’ennesimo tentativo di ricerca della verità. La vicissitudine fu, a più riprese, un affaire nel senso di “accadimento di rilevante importanza, con risvolti politici e sociali”. Tal quale il pasticciaccio brutto di Piazza Sant’Apollinare, a Roma.
A voler fare il riassunto delle puntate precedenti, si rischia di perdere la testa in una foresta di episodi intricati, quanto una mangrovia, alcuni totalmente fuori testo, altri tinti di giallo che, nell’insieme hanno ingarbugliato la matassa, trasformando la vicenda in uno dei tanti misteri italiani del dopoguerra. Che sono tanti, finiti in archivio e amen. Ora dallo scaffale giudiziario riemerge il caso della ragazza romana, della quale quel giorno di giugno si persero le tracce.
Nel caso Orlandi, di “false partenze” ce ne sono state numerose, talune casuali, altre costruite ad arte. E, dato il tempo trascorso, se n’è sbiadita la memoria. In estrema sintesi il fatto: Emanuela, poco più che adolescente, è ragazza tutta acqua e sapone, di buona famiglia, cittadina dello Stato della Città del Vaticano, dove lavora suo padre. Frequenta il 2° anno del liceo scientifico e un corso per imparare a suonare il flauto nella scuola di musica adiacente la Basilica romana di Sant’ Apollinare. E’ da quella scuola che esce e sparisce.
Gli inquirenti, all’inizio, hanno di fronte un bivio di ipotesi: fuga volontaria oppure sequestro di persona a scopo di riscatto. Ma dove poteva fuggire una poco più che bambina e da chi, se viveva serena in una famiglia senza ombra alcuna? Perciò, rapimento. Lo “scopo di riscatto” andava cancellato, vista la scarsa ricchezza degli Orlandi. Allora, più che di riscatto, si poteva parlare di ricatto? Nei confronti di chi? Forse, se la rapita non fosse stata residente in Vaticano, la “faccenda” sarebbe rimasta entro usuali confini d’attenzione. Invece, no. Gli organi di informazione cominciano a cercare connessioni e coordinate Oltretevere. La finestra sul cortile, aperta dalla stampa, si è spalancata fin da subito e il percorso riempito di numerose pietre d’inciampo.
Come in un normale poliziesco, sono iniziate, a un dipresso (Trilussa), le telefonate dei presunti informati dei fatti. Un paio di nomi: Pierluigi e Mario, rimasti nascosti dietro il muro dell’omertà. Ed eccoli sfilare personaggi legati ai risvolti di una rappresentazione scenica mai arrivata all’ultimo capitolo. Scritta sopra un copione pieno zeppo di figurazioni e di interrogativi d’ogni genere. E’ difficile orientarsi nella fitta nebbia di misteri, mezze verità, anonimati che hanno avvolto l’aggrovigliato romanzo popolar – giudiziario.
Attore per qualche giorno, l’Americano (parlava un italiano con tono straniero, vero o finto che fosse) il quale, dopo strani sotterfugi, chiede – per un baratto – la liberazione di Ali Agca, il turco appartenente alla setta dei “Lupi grigi”, attentatore (13 maggio 1981) del Papa Giovanni Paolo II. Il turco però si dichiara estraneo all’appropriazione indebita della quindicenne. Si guarda al di là della Cortina di ferro, alla ricerca di possibili mandanti dell’attentato sacrilego e di legami con la vicenda Orlandi. Osservatorio privilegiato rimane il Vaticano. Compaiono sulla scena lo IOR, la banca all’interno della Santa Sede e il suo discusso responsabile, il potente Cardinale Paul Marcinkus. Costui, santo proprio non era. Lo accostarono a sontuosi traffici finanziari, con il dissestato Banco Ambrosiano, di avere per amici Michele Sindona, morto in carcere di caffè al cianuro, di Roberto Calvi, trovato appeso, a Londra, sotto il Ponte dei Frati Neri. Si finì per parlare addirittura di orge promosse in abitazioni cardinalizie e per trovar spazio onde far spettegolare un avventuroso scrittore brasiliano che sostenne Emanuela fosse figlia segreta di Papa Wojtyla.
Attorno, una ricca loquela scandalistica, bene architettata: riciclaggio di denaro sporco, baccanali di pedofili e droga, attività di esorcismo, magia nera in uno squallore presumibilmente tendente ad occultare qualcos’altro. Ci fu un momento di notorietà persino per Pippo Calò, il cosiddetto cassiere della mafia. Non poteva mancare quella che, al tempo, era la mano violenta della Roma di malavita: la Banda della Magliana. Messa in mezzo da una telefonata alla trasmissione RAI Chi l’ha visto? che invitava a recarsi in Sant’ Apollinare per cercare buone nuove.
Allora, subito di corsa in Chiesa e chi ti trovano sepolto tra Porpore eminenti? Trovano Renatino De Pedis, uno dei capibanda della Magliana, morto ammazzato, nel 1990, dai suoi antagonisti in scelleratezze. Scandalo enorme: Che ci fa il corpo di un poco di buono, in un luogo sacro? Già, che ci fa? Mistero. Sul caso Orlandi mise lo zampino Sabrina Minardi, amica del cuore di Renatino, dicendo di aver trasportato proprio lei, in auto, Emanuela, poi uccisa e gettata dentro una betoniera, a Torvaianica. Disse addirittura di essere andata un paio di volte, con il De Pedis, a cena da Giulio Andreotti. Ebbe ascolto, però nessun riscontro fu trovato alle sue rivelazioni.
Un’altra ragazza finì nel nulla quasi in contemporanea (7 maggio 1983): Mirella Gregori – 15 anni quanti la Orlandi – altra scomparsa che venne messa, per qualche tempo, in parallelo con quella di Emanuela e si parlò ancora di festini romani. Tanta roba, ma soltanto aggiunte di fantasia. Un tale che, al posto del suo nome, dichiarò un numero, il 158, chiese di parlare del faccendone (tale era diventato) con il Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Sua Santità. L’ “interlocuzione” forse ci fu, ma finì nel secretaire. Arrivò un giorno, alla famiglia Orlandi, la chiamata da una cabina pubblica. Subito individuata, la circondarono in corso di conversazione: Risultò vuota. Uno scherzo (?) dei Servizi Segreti, mischiati, dietro le quinte, nella iconografia della quale trattasi?
Indaga, indaga, con diverse fermate e altrettante ripartenze, alla vicenda Orlandi sono venute le rughe in fronte. Inutili. Ha soprattutto indagato l’Autorità giudiziaria italiana, perché la “scena del crimine” si è svolta in una piazza di Roma. Un impegno portato avanti nel complicato rapporto con i colleghi inquisitori che sono di un altro Stato: La Città del Vaticano. Adesso, dal di là delle mura di confine, pum! Lo sparo. Si replica. Dal lontanissimo 22 giugno 1983, si torna a cercare Emanuela viva o morta. (fosse viva, avrebbe 55 anni). Io speriamo che me la cavo in salute per assistere a quel che andrà a finire. A meno che non si stia per scrivere un atto aggiuntivo all’opera I Pagliacci. La famiglia Orlandi, da decenni, va cercando la verità ch’è sì cara … Almeno questa gliela vogliamo far conoscere?