di Adriano Marinensi
Ci vorranno almeno un paio di puntate per star dietro alla doppia e meritoria iniziativa editoriale che mostra l’aspetto sociale di Terni e la fabbrica per antonomasia, l’Acciaieria, attraverso una collezione di fotografie d’epoca ormai remota, che invece merita ricordo. Senza alcuna pretesa di fermare il tempo sul filo dei retaggi arcaici. Certo, raccontare scene di vita e di varia umanità, guardando semplicemente il loro “ritratto”, è difficile. Comunque, ci proverò, perché fare memoria è fare cultura. I titoli dei due volumi che ho di fronte, si somigliano, in quanto le identità sono complementari. Un libro dice in copertina: Terni illustrata e si riferisce appunto alla città; l’altro: La “Terni” in posa e ritrae l’azienda. Messi insieme, fanno la fotostoria di una comunità, cogliendone i caratteri speculari, le forme sociali e del lavoro, lungo il percorso del loro sviluppo durante i decenni dai primi del ‘900 in avanti. E’ l’arco di tempo durante il quale la grande fabbrica ha dato i vantaggi dello sviluppo industriale e la città ne ha subito le invadenze ambientali.
Sfogliando le innumerevoli pagine, si ritrovano i tratti somatici della ternanità intensamente vissuta, gli usi, i costumi, la fatica quotidiana: tutto sembra d’ altri tempi, invece è soltanto quello dei miei genitori e dei vostri nonni. Sbiadita nell’immaginario collettivo, però umana e reale. Vita domestica e vita di lavoro, quest’ultima totalizzante, primaria, per certi versi invadente. Dunque la “Soc. Terni in posa”. Si parte dalla fondazione (1884) per arrivare sino a metà degli anni ’60 del ‘900, quando – è indicato nella presentazione – “si completò la dismissione di tutte le attività non siderurgiche.” In copertina, la foto, scattata all’ingresso dell’Acciaieria, è gremita di maschi tutti con l’immancabile cappello scuro, le femmine vestite da capo a piedi, scoperte neppure le scarpe e il colore nero dilagante.
La didascalia informa: Visita allo stabilimento dei partecipanti al 1° Congresso degli italiani all’estero nel 1908. Ecco allora, com’erano gli impianti produttivi nel 1910 e nel 1964, le operazioni di colata dell’acciaio incandescente con gli operai protagonisti; l’officina treno corazze nel 1912 e com’era tutto quel che vide Mussolini, nel 1931, quando inaugurò il nuovo impianto di carico idrico Valnerina – Piediluco. Ingente la dimensione della “tettoia ottagonale” che custodiva il maglio: lui enorme, gli uomini attorno dei pigmei, affaccendati a modellare manufatti di taglia gigantesca. Il grande maglio capace di scuotere le case lungo il Viale Brin.
Si vede com’era la “fucinatura” nel 1917, quando si usava ancora la pressa da 4500 tonnellate; poi venne, nel 1948, l’altra da 12.000. Negli anni ‘20, dava spettacolo la sala collaudo dell’officina proiettili, con il “balipedio” per le prove di tiro, l’operaio raffigurato accanto a quattro palle di cannone alte quanto lui; l’imponente tamburo per turbina e ancora il lavoratore pigmeo. Si vede anche la piastra di corazzatura, tutta bucata dai tiri di prova per saggiarne la resistenza. Fin dal 1909, era attiva l’officina macchine elettriche, azionate dalla forza idraulica degli impianti di caduta. Sopra un carro ferroviario di lunghezza doppia, c’è un “tubo fodero per cannoni” diretto alla Esposizione internazionale di Torino del 1911. Spettacolare l’immagine del Batiscafo Trieste, costruito in parte a Terni (1953) che servì allo scienziato August Picard per esplorare le profondità marine. La vasta gamma dei ciclopici manufatti venne completata più avanti dal reparto per la produzione dei vessel nucleari. Alla storia infame va affidata la foto della Centrale di Galleto fatta saltare in aria, il 10 giugno 1944, dai nazisti in ritirata.
Anche il comparto idroelettrico è ritratto in molte effigi. L’impresa della grandi centrali ebbe inizio negli anni ’30, utilizzando l’acqua dei bacini Nera – Velino e Vomano, in Umbria, Lazio e Abruzzo. Nella parte ternana, i giganti dell’elettrico furono ubicati a Papigno – Galleto, Recentino, Montargento, Villa Valle e insieme ai tanti altri impianti, produssero un patrimonio di energia pulita, sottratto alla Soc. Terni (ch’era “per l’industria e l’elettricità”) nel 1962, a seguito della nazionalizzazione. Tra i campi di attività dei primi decenni, c’erano pure le miniere di lignite di Morgnano di Spoleto, documentate con una serie di foto che evidenziano il lavoro dell’uomo sottoterra, l’abbrutimento dei volti segnati dalla fatica, le attrezzature in uso quasi primitive. Poi, le cementerie, anch’esse a Spoleto, e gli stabilimenti elettrochimici di Papigno e Nera Montoro.
L’Acciaieria non era, per le maestranze, soltanto fiamme e fuoco. Allora eccoli ritratti i bambini nel refettorio di una colonia montana oppure i piccolissimi nelle vasche da bagno dell’Asilo Stefano Breda. Difficile contare quelli messi in file parallele nel soggiorno marino di Cattolica; ed è impossibile non sorridere di fronte agli altri infagottati, con in mano la busta della “befana fascista”, elargita dal regime che monopolizzava il tempo libero della città. Ricco il capitolo dedicato alle attività dopolavoristiche: il campo di calcio di Viale Brin (la “pista”), ormai riposto in memoria dai vecchi e fisicamente cancellato; le gare di tiro alla fune e di ginnastica riservate ai nerboruti. Quindi le squadre di tiro al piattello, di ciclismo, di nuoto, di sci, tutto per comprovare l’impegno dell’azienda nel dopolavorismo assistenziale.
Non poteva mancare, in chiusura dell’ampia carrellata fotografica, lo spazio riservato alle visite in fabbrica di personaggi illustri, nazionali e stranieri. Per esempio, i Capi di una tribù di Senussi, avvolti dentro lunghe vesti bianche; invece in austera uniforme la delegazione militare britannica. Nel 1923, ecco arrivare Vittorio Emanuele III, accolto all’ingresso dello stabilimento dalle maestranze vestite con l’abito buono e incappellate. Quattro anni dopo, è la volta dei Congressisti, uomini e donne (ve le vorrei far vedere come sono conciate) della Società italiana per il progresso delle scienze. Alta, solenne, vestita di nero (come la carducciana nonna Lucia) c’è in Acciaieria, nel 1937, la regina Maria Josè di Savoia; arriva un anno dopo il Principe dello Yemen a Galleto e il Sultano dell’Aussa, alla testa di un lungo corteo che Berlusconi avrebbe definito di abbronzati. In occasioni successive, sono ospiti in azienda i Ministri italiani della Guerra, delle Finanze, delle Corporazioni. E addirittura, quando portavano ancora i calzoncini corti, Romano e Anna Maria Mussolini, figli del duce. I muri della fabbrica sono pieni di svastiche perché si trattava di accogliere degnamente, seguito da un codazzo di camerati fascisti, il Ministro del lavoro nazista. Nell’ultimo fotogramma, del 1940, si vede un tavolo attorniato da un sacco di gente per assistere ad un esperimento, nello stabilimento di Papigno. Spiega la didascalia: “Alcuni fiori vengono immersi nell’azoto liquido, congelati e donati ai presenti.” Miracolo della chimica!
(1. continua)