Lorenzo Fioramonti si è dimesso dal ruolo di ministro dell’Istruzione, come clamorosa forma di dissenso, non avendo ottenuto i 3 miliardi di euro richiesti per la scuola.
Il punto però non è tanto la colpevolmente trascurata scuola – che dopo una progressiva riduzione dei fondi deve accontentarsi oggi del 7,8% della spesa pubblica contro il 15,7% della Svezia, l’11% della Germania e il pur ridimensionato 9% di Francia e Spagna- quanto piuttosto la tenuta della maggioranza, già strattonata dalle congenite tensioni tra M5S e PD.
E non v’è dubbio alcuno che la fuoriuscita dal governo Conte del 42enne professore dell’università di Pretoria, aprono una stagione di fortissima turbolenza destinata a mettere a dura prova la denuta dei giallo-rossi ancor prima delle elezioni in Calabria e in Emilia Romagna.
Il premier Conte per ora non si pronuncia, consapevole delle nubi scure che si addensano su Palazzo Chigi, dopo il passaggio di tre deputati grillini alla Lega e alle nuove voci di scissione a sinistra del Movimento in frammentazione. Si fanno sentire invece le voci degli interessati, in primis i sindacati della scuola, preoccupati per l’incertezza del cambio di passo piombata su un settore già debole (alla successione si è candidato il senatore del M5S Morra).