Lavorare nel pubblico impiego non fa bene alla salute. Le cifre parlano chiaro. In soli quattro anni si contano 11mila certificati di malattia in più nel settore pubblico umbro (tutti gli enti locali compresi).
C’è stato un leggero miglioramento nel 2016, in linea con la tendenza nazionale, ma la tendenza che si registra in Umbria è davvero da record nazionale. L’Inps ha elaborato le certificazioni estratte dalla banca dati dell’Istituto nazionale di previdenza sociale e ha rilevato un’impennata preoccupante.
Le proiezioni per questo 2017 non si discostano troppo dal dato degli anni precedenti (sopra le 62mila malattie annue).
Le cifre riportate sotto la dicitura “eventi di malattia” per lo scorso anno sanciscono 65.060 casi a fronte delle 529.378 giornate di malattia consumate.
Nel 2015 il picco, con 67.424 eventi di malattia nel 2015 per 547.501 giorni di assenza. 62.123 eventi di malattia nel 2014 per 512.879 giorni. 62.052 eventi per 483.804 giorni di malattia nel 2013. 56.025 eventi di malattia nel 2012 per 446.745 giornate complessive. Secondo la stima percentuale della Cgia (ufficio studi dell’associazione artigiani e piccole imprese) di Mestre tra il 2012 – primo anno per il quale è possibile avere una rilevazione completa – e il 2015, “in tutte le regioni d’Italia sono in aumento le assenze nel pubblico (dato medio nazionale pari a +11,9 per cento), con l’Umbria che si colloca al top con un più 20%”.
Si scende al 16% nel 2016, ma la quota di crescita nel quinquennio resta ben sopra la media nazionale.
Un tetto massimo di assenze per malattia durante l’anno anche in caso di gravi patologie che richiedono terapie salvavita quali chemioterapia ed emodialisi. È la ulteriore ‘stretta’ all’assenteismo nel pubblico impiego prevista dall’atto di indirizzo generale predisposto dal ministro della Funzione pubblica Marianna Madia per il rinnovo dei contratti.
E sarà l’Aran a negoziare, in sede di trattativa, il computo dei giorni di assenza collegati al l’effettuazione di terapie salvavita “anche se non coincidenti con i giorni di terapia e a condizione che si determinino effetti comportanti incapacita lavorativa”. Un ampio capitolo dell’atto di indirizzo del resto è dedicato a permessi, assenze e malattia, un tema delicato che da settembre sarà affidato ai controlli dell’Inps secondo quanto previsto dal nuovo testo unIco del pubblico impiego.
Madia prevede inoltre una disciplina specifica sui permessi orari per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici fruibili a giorni e addirittura a ore. Ma anche permessi brevi a recupero, permessi per motivi familiari e riposi connessi alla ‘banca delle ore’ che viene indicata come “base di partenza per ulteriori avanzamenti nella direzione mi una maggiore conciliazione e tra tempi di vita e di lavoro”.
Tuttavia anche in questi casi sono previsti nuovi paletti. L’ assenza deve essere giustificata con un’attestazione rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privata, che ha svolto la visita o la prestazione o tramessa all’amministrazione presso cui lavora il dipendente pubblico.
La direttiva prevede anche un “monte ore” annuale per la fruizione di tali permessi con l’indicazione che 6 ore di permesso corrispondono a un’intera giornata di lavoro. Infine, si prevede un periodo di servizio minimo nell’arco della giornata almeno pari alla metà dell’orario e, salvi casi d’urgenza, adeguati periodi di preavviso.
Occorre ricordare che con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 75/2017 (Decreto Madia), dal 1° settembre gli accertamenti per le assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici sono passate dalle Asl all’Inps, al pari di quanto previsto per il settore privato.
Le novità principali della nuova normativa rispetto all’attuale disciplina, sono l’aumento del numero delle visite fiscali previste annualmente (da 300.000 a 500.000) e la possibilità di effettuare più visite di controllo nello stesso giorno.
Secondo i dati forniti dall’Inps i dipendenti pubblici fanno mediamente “ben 11 giorni di malattia all’anno”!
Va anche però ricordato che il numerico su assenze per malattia va correlato anche al progressivo invecchiamento dei lavoratori del Pubblico Impiego, la cui età media si assesta attorno ai 55 anni di età.
In più la normativa non tiene in nessun conto l’alto numero di patologie invalidanti legate a malattie professionali, spesso non riconosciute dagli organismi preposti, che colpiscono intere categorie di lavoratori (operatori sanitari di ospedali e case di riposo, educatrici e insegnati delle scuole d’infanzia, il personale ausiliario, operaio, cuoco ecc.) esposti ad alto rischio di malattie correlate alla mansione.
Nessun cenno al fatto che ai pubblici dipendenti, nei primi 10 giorni di malattia, vengono decurtate indennità, con perdita sensibile di quote di stipendio.
Una situazione che ha indotto il presidente dell’Inps Boeri a chiedere al Governo di equiparare, tramite decreto, di equiparare gli orari delle visite fiscali del settore privato a quelli pubblici (quindi da 4 a 7 ore di reperibilità).
Ma come avviene da anni, con la scusa dell’equiparazione, il peggio di un settore lavorativo viene applicato a cascata a tutti gli altri…. L’equiparazione è sempre al ribasso, sempre a danno dei lavoratori!