di Adriano Marinensi – Ad ascoltarla con disinvolta attenzione, pare una notizia intera. Invece, non è manco una mezza notizia. Leggo il titolo e riferisco: ” Sono ripresi i lavori della Terni – Rieti”. Dopo un anno di stop, la favola (impostura?) che, dalla notte dei tempi si va narrando dalle nostre parti, riprende la stucchevole tiritera. La vecchia (strada) della fiaba cammina, commina, cammina… E non arriva mai.
C’era una volta il progetto di una “infrastruttura strategica” (questo l’appellativo iniziale, quando strategica veramente lo era), redatto per collegare l’Umbria e la Sabina all’Adriatico da un lato e al Tirreno dall’altro. Strategica, si proclamò, perché lo sviluppo dei due territori, non poteva fare a meno di un rapido approdo al mare. E s’aveva da fare sin da subito. In mezzo al torrente di parole spese tra incontri e convegni, quel “subito” poi è risultato un termine pronunziato a vanvera. In principio, gli elaborati tecnici furono un paio. Il Re (che in ogni bella favola, c’è spesso, insieme alla vecchia, come in Biancaneve, Cappuccetto rosso, Pollicino ) ne scelse uno e statuì: Si apprestino le opere, immantinente. Beh, immantinente proprio no, però, dopo qualche tempo dedicato al dibattito ed al confronto delle idee, i sudditi si misero al lavoro.
Dal raccordo autostradale Terni – Orte, si andò, cementando i campi, per un tratto mica tanto breve. Senonché, il Sovrano cambiò radicalmente parere e, con lo scettro suo, si mise a indicare il punto di partenza scartato al principio. Si vada – dispose – da S. Carlo, lungo la Flaminia, su, su, sintanto alla sommità del colle. Maestà – osservarono i sudditi amici dell’ambiente – la Valnerina dove la scavalchiamo? Il Re: All’altezza della Cascata delle Marmore. Oltraggio, gridarono in molti. Oltraggio al capolavoro di Curio Dentato. Allora, scendiamo più a valle, dove s’affaccia il paese di Papigno. Placet, dissero in tanti. Ergo, si fece il ponte in ferro a forme architettoniche d’avanguardia.
E la vecchia (strada) della favola riprese il viaggio verso la Sabina. Di nuovo, cammina, cammina, cammina, lungo viadotti e gallerie, tra una inaugurazione e l’altra, s’affacciò sulla piana reatina. Oddio, ecco un inciampo! Da un tratto del tunnel si mise a sgorgare acqua avvelenata. Fermi tutti, pericolo di morte. Alla fine l’ostacolo è stato rimosso e il tragitto è ripreso. La vecchia (strada) della favola avrebbe dovuto passare sotto il letto del Velino, ma il lupo cattivo che stava dentro il bosco, ululò e dedusse: Se poi il fiume, sentendo rumori, mentre dorme nel talamo, monta in collera? E poi, scavando, scavando abbiamo già speso un patrimonio. Va quindi studiata una soluzione più economica. Sentito il lupo, il Monarca ingiunse: Si faccia un altro ponte al posto del sottopasso. Solo che, apportare varianti significative, in corso d’opera, ad un elaborato tecnico, richiede i tempi lunghi della burocrazia. Allora, la vecchia (strada) della favola si è dovuta di nuovo fermare (a mezza strada).
Intanto, sul versante opposto, già da qualche anno, s’era arrivati oltre il bivio di Vetralla, dalle parti di Cinelli. Un altro piccolo tratto conquistato e, manco a dirlo, colta l’occasione del consueto scintillante vernissage, con la partecipazione logorroica di tutte le Autorità costituite. Pensammo in coro: lo sbocco sull’Aurelia e quindi a Civitavecchia, ormai è bello e fatto. Macché. Ci mancava poco, ma – a tutt’oggi – ancora ci manca. Quanto tempo? Se lo chiedi ad uno di quei ragazzetti, con i jeans sbrindellati e la cresta in capo, quanto manca? Di sicuro ti risponde: Minchia, boh!
Sono invece passati diversi lustri dalla apertura al traffico della tratta Piedimoggio – Rieti e, quella “tratta” – costruita che manco in Africa le superstrade così strette le fanno più – è rimasta in lunga attesa di congiungersi asfaltatamente col gemello in arrivo da Terni. E da Terni, trapana, trapana, eccolo li (il gemello) ad un tiro di schioppo. Eseguita l’ennesima inaugurazione, s’appalesa tosto un allegro transitar di mezzi a motore, dentro fulgenti trafori (questi si di stampo ultramoderno!). Dopodiché, per via del Velino messosi in mezzo al tracciato tecnico, il cantiere ha subìto un fermo immagine. Ora è giunta la mezza notizia della quale ho fatto cenno all’inizio: la vecchia (strada) della favola può rimettersi in viaggio. Chissà che, cammina, cammina, cammina, seppure stanca per l’interminabile travaglio (è partita ch’erano gli anni sessanta del novecento), prima che i nostri nipoti si facciano anziani, non riesca a raggiungere il castello della Fata Turchina, la quale, per decenni, ha avuto la santa pazienza di stare a sentire una nutrita schiera di Pinocchi, dal naso lungo un palmo, per le tante menzogne affastellate. In verità, i castelli (incantati e incantevoli), come anzidetto, sarebbero due: uno, in montagna, nella città di Vespasiano e l’altro sui lidi del mar Tirreno.
Quando la (vecchia) strada, per taluni obiettivi iniziali – la complementarietà industriale (siderurgia e chimica) tra Terni e Rieti, per fare un solo esempio – avrà perso molta della sua strategicità; quando la vecchia (strada) – seddiovole! – sarà ultimata, si potrà andare da Terni a Rieti e viceversa, in venti minuti. Antonio Albanese direbbe: “Quantunquemente …”, anche noi meno giovani continuiamo a sperare, con la stessa pazienza della Fata.
P.S. Non sono pochi i camionisti, impegnati nel trasporto dei materiali prodotti nella conca ternana, che hanno espresso il bizzarro desiderio di poter raggiungere il porto di Civitavecchia in superstrada. Senza dover fare il tormentoso “Giro del Lazio”.