di AMAR – Più semplice è l’analisi di alcuni avvenimenti che diedero origine alla dittatura. L’Italia del periodo successivo alla prima guerra mondiale mostrava aspetti di crisi istituzionale ed economica. Il ritorno dei soldati alla vita civile e la forzata riconversione delle industrie belliche provocarono un “ingorgo sociale”, con forti riflessi sull’occupazione. Durante il cosiddetto “biennio rosso” (1919 – 20), si ebbero disordini di protesta nelle città e nelle campagne, con numerosi scioperi ai quali gli industriali opposero la “serrata”.
Facendo leva sulla contestazione generale e sul patriottismo connesso alla esigenza dell’ordine e della disciplina, l’ex socialista ed ex direttore dell’ ”Avanti” Benito Mussolini mise in scena il primo atto della sua “tragedia italiana”: costituì, a Milano, in Piazza S. Sepolcro, il 23 marzo 1919, i “Fasci di combattimento”. Qualche giorno prima, su “Il Secolo d’Italia” aveva scritto: “Sarà creato l’antipartito per far fronte a due pericoli, quello misoneista (che odia le novità, n.d.a.) di destra e quello distruttivo di sinistra.” Con una aggiunta in pieno contrasto rispetto alla sua storia prossima: “Noi siamo decisamente contro tutte le forme di dittatura.” Ma lui era ben aduso a predicare bene e razzolare male.
Un notevole aiuto alla creazione del fascismo venne anche dal “Movimento futurista” di Tommaso Marinetti. Lo afferma autorevolmente il prof. Franco Ferrarotti nel suo saggio intitolato “Futurismo come prefascismo. Emozione contro ragione, il filo rosso della storia italiana.” Sostiene l’autore che “i futuristi intendevano immergersi nella realtà… riprodurre lo slancio creativo della macchina insieme con la loro anima assetata di velocità e di potenza.” Nei pensieri espressi sul “Manifesto del Futurismo” c’è il superamento della ottocentesca cultura borghese; addirittura, all’art. 9, si teorizza “la guerra necessaria per lo sviluppo umano”. Troviamo Marinetti con Mussolini al raduno milanese dei sansepolcristi e rivelatrici del suo disegno politico sono un paio di idee inserite nel programma successivo: lo “svaticanamento” dell’Italia ed il passaggio dalla monarchia alla repubblica. Arriva presto l’esplicita adesione al progetto fascista. Ebbero influenza i “pensieri marinettiani” sullo sviluppo di alcuni totalitarismi europei.
Una grossa iniezione di fanatico ardimento venne al fascismo anche dalla impresa di Gabriele D’Annunzio e dei suoi seguaci nella occupazione di Fiume. Ebbe inizio il 12 settembre 1919 e durò 16 mesi, durante la proclamazione della “Reggenza italiana del Carnaro”. Nei trattati internazionali, Fiume era rimasta esclusa dal nostro Regno e quindi la rivendicazione patriottica, ebbe successo. Vi parteciparono reparti del Regio Esercito e molti reduci delusi della grande guerra. Il 12 novembre 1920, Italia, Serbia e Croazia firmarono il Trattato di Rapallo che decretò lo Stato Libero di Fiume. D’Annunzio e i suoi si opposero e il Governo italiano mandò i soldati a sgomberare la città. Il Vate si ritirò sdegnato nella aurea residenza del Vittoriale. Cioè, la pittoresca residenza da lui eretta a Gardone Riviera, nel 1921, formata successivamente da edifici, piazze, strade, giardini, un teatro e con tanto di luogo votivo delle rimembranze enfaticamente legate alle glorie militari degli italiani.
Non mancarono al fascismo alcuni sostegni. Per esempio, quelli dei cosiddetti poteri forti nel mondo della finanza, dell’economia, dell’industria, della cultura (i firmatari del “Giuramento di fedeltà degli Accademici”). Cosicché, il suo movimento, nato con l’etichetta di rivoluzionario, divenne strumento di conservazione di posizioni consolidate. Fin dall’inizio, giocarono a favore la tiepidezza e la tolleranza di Casa Savoia che ci vide una trincea di difesa del secolare blasone. Chiuse il cerchio, nella circonvenzione fascista dei livelli alti del potere, il “Concordato Stato – Chiesa” del 1929. Vigeva ancora il divieto di Pio IX (1970, dopo la presa di Porta Pia) diretto ai cattolici, di partecipazione alla vita politica nazionale. Una proibizione inopportuna che Mussolini provvide a cancellare, firmando di persona, insieme all’autorevole Cardinale Pietro Gasparri, i “Patti Lateranensi”. Per la storia successiva, va scritto che, nel 1948, essi furono inseriti nella nostra Costituzione: Art. 7. “Lo Stato e la Chiesa sono – ciascuno nel proprio ordine – indipendenti e sovrani”.
Per Mussolini, una grossa pietra d’inciampo, lungo il cammino verso la monocrazia, avrebbe dovuto essere il “delitto Matteotti” che forse non venne colto dalle componenti popolari nel suo significato tracotante. Paradossalmente, lui lo usò addirittura per mettere in atto manovre liberticide. Giacomo Matteotti, allora Segretario del Partito Socialista Unitario, nato dalla scissione del P.S.I., venne rapito ed ucciso da una squadraccia fascista, il 10 giugno 1924, a Roma e il suo corpo ritrovato il 16 agosto successivo, nella Macchia della Quartarella. Non senza alterigia, il maestro di Predappio, si assunse, in Parlamento, la responsabilità politica del delitto. Disse: “Se il fascismo è stata una associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione”. Fu, per lui, un momento di crisi, ma ormai la storia, in Italia, aveva imboccato la strada funesta dell’arroganza.
I regimi assoluti in Europa, durante gli anni tra il 1920 e il 1930, hanno incardinato la loro presa popolare, iniziale e successiva, su alcuni caratteri comuni: l’esasperazione del nazionalismo, la superiorità della cultura e poi della razza, le contingenti difficoltà economiche e sociali, l’enfatizzazione della Patria forte, fondata sul partito egemone e garante dell’ordine interno, l’esaltazione giovanilistica, artefice del pronunciamento avanguardista. Ed il culto fideistico del capo che ha sempre ragione. Figli di questi e molti altri falsi valori, furono il nazismo, il fascismo, il franchismo. Che portarono alla rovina i rispettivi popoli.
(2. continua)