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Home » 18 dicembre1935: La giornata della fede e dell’oro alla patria
Opinioni

18 dicembre1935: La giornata della fede e dell’oro alla patria

admin06 Mins Read
Oro alla Patria, consegna delle Fedi d'oro
 
 
 

Poi venne l’economia di guerra e il razionamento alimentare

di Adriano Marinensi

Di vili aggressioni belliche – del tipo Russia contro Ucraina – ce ne sono molte nella storia della criminalità internazionale. Anche in quella recente. Una promossa da Adolf Hitler (2 settembre 1939) ai danni della Polonia, dalla quale prese avvio la II guerra mondiale; l’altra, ancora durante gli anni ’30 del secolo scorso, decisa da Benito Mussolini (2 ottobre 1935) per conquistare l’Etiopia. Come oggi l’embargo dell’ONU contro Putin, allora la Società delle Nazioni applicò all’Italia le sanzioni. Le inique sanzioni, come le definì il capo del fascismo. Provvedimento senza effetto perché, in dispregio ad esso, l’assalto agli abissini non si fermò. Anzi, andammo a conquistare l’impero con una grande armata da eroica impresa.

Tra i provvedimenti adottati dal regime, ci fu (18 dicembre 1935) la famosa Giornata della fede. Non la fede religiosa ovviamente, ma la crociata patriottica dell’oro alla patria. C’era bisogno di risorse per contrastare l’embargo e allora, sbandierato il nemico di turno, venne chiesto agli italiani ed alle italiane il grande sacrificio: il dono delle fedi nuziali. Fu una sorta di seconde nozze tra il regime e il popolo, in un artificioso slancio di devozione. Il buon esempio lo dette la Regina Elena, portando al centro di raccolta, sulla scalinata del Milite Ignoto, la propria fede e quella di Vittorio Emanuele, al cospetto scenografico di tante mamme e vedove di caduti in guerra. La first lady Rachele Guidi, la massaia rurale moglie di Benito, fece altrettanto.

L’effetto non fu marginale: Milioni di cittadini parteciparono all’evento. Il bilancio finale dell’operazione fu di 33.622 chili di oro e 93.473 di argento. Non solo fedi, anche collane, catenine, bracciali, persino statuette e oggetti di metallo prezioso. Si disse che pure nelle piccole comunità, in tanti avevano affollato i punti di raduno, ove possibile allestiti presso il monumento oppure sotto la lapide dei morti al fronte di battaglia. Insomma, un trionfo di marketing, contrabbandato per slancio di italianità e di orgoglio nazionale. Un cospicuo bottino di fedi nuziali fu inventariato insieme al tesoro di Dongo, sequestrato ai gerarchi fascisti in fuga, il 27 aprile 1945, in “quel braccio del lago di Como che volge a mezzogiorno” (Manzoni). Un tesoro che gli americani stimarono in alcuni miliardi di lire dell’epoca, sparito nei meandri del mistero, durante i giorni successivi.

Nel marzo 1936, l’uomo dal mento prognato, in risposta alle sanzioni, dette l’annuncio della politica di autarchia, cioè dell’autosufficienza produttiva ed economica del nostro Paese. Pochi anni dopo, fu economia di guerra, la stessa paventata, per l’Italia di oggi. Che mi ha fatto aggrinzare la pelle, al paragone dei giorni funesti che vissi allora. Da qualche parte ho letto la quantificazione del razionamento dei generi di prima necessità che subimmo in quel tempo triste. Oltre ai pochi grammi di pane giornaliero, spettavano a ciascuno 80 grammi di carne e 60 di salumi a settimana, un uovo ogni 15 giorni, 2 chili di pasta e di riso al mese. Mentre intorno infuriavano le bombe e le distruzioni. Ed i pescecani si arricchivano con i guadagni della borsa nera.

Affondate la Bismarck

Colpita e affondata. Non sto per scrivere di una di quelle battaglie navali che facevamo, per gioco, quando fummo ragazzi, sui fogli di carta a quadretti. Invece dello scontro tra la Royal Navy britannica e la corazzato Bismarck, ammiraglia della flotta tedesca. Accadde durante la 2^ guerra mondiale, in Atlantico, nel maggio 1941. Era un gigante del mare e, nel nome, rinnovava il “Cancelliere di ferro” Otto von Bismarck. L’avevano armata con una enorme potenza di fuoco, varata all’inizio del 1939, con un investimento di 200 milioni di marchi, lunga 250 metri e larga 36. Dunque, uno spavento per le navi americane che, all’epoca, trasportavano armi e munizioni verso l’Inghilterra. Un incubo per Winston Churchill che si mise in testa di colpirla e affondarla. Impresa quasi impossibile, però chiodo fisso per il Primo Ministro britannico.

A metà anno 1941, l’esercito tedesco aveva già in mano mezza Europa, tenuto conto che l’Italia era alleata e la Spagna di Francisco Franco simpatizzante. In mare, il confronto favoriva gli inglesi, malgrado le azioni portate a termine dai terribili U – BOOT, che però avevano deluso Hitler. Dunque, in campo la Bismarck. Salpò, insieme all’incrociatore Prinz Eugen e, all’inizio della manovra, fu avvistata da un natante svedese che avvertì gli inglesi. La grande occasione del confronto era a portata di mano. Subito in competizione una nave da battaglia e un incrociatore.

L’aggancio fu fatto in tempi brevi. All’inizio, la Bismarck ebbe la meglio e ne fece le spese l’incrociatore della Royal Navy colato a picco con a bordo 1400 membri di equipaggio. Anche la Bismarck fu colpita e dovette invertire la rotta verso un porto della Francia occupata. Gli inglesi organizzarono l’inseguimento con altre navi, perché la preda – ingiunse Churchill – non doveva sfuggire. Nuovo contatto e nuova combattimento. Un siluro colpì la Bismarck, danneggiando gravemente il timone. Ora la grande nave aveva perso la veloce capacità di manovra. Gli inglesi le lanciarono addosso una pioggia di proiettili, nel corso dello scontro durato un’ora e mezza.

Alla fine, l’ordine: Fuori tutti i siluri. Due andarono a segno e la Bismarck finì rapidamente in fondo all’Atlantico (27 maggio 1941), ad una profondità di 1500 metri. Morirono il comandante e oltre 2000 marinai. Sommati ai 1400 della nave inglese, periti qualche ora prima, si poteva dire ch’era stata fatta una carneficina. Londra la ritenne una vittoria e la storia un grave scacco per Adolf Hitler, già impegnato a definire i piani d’attacco all’URSS (Operazione Barbarossa – 22 giugno 1941).

Con l’entrata in guerra degli USA, all’indomani dell’assalto giapponese a Pearl Harbor (7 dicembre 1941), le sorti del conflitto mutarono strategicamente. La campagna di Russia fu una disfatta per le truppe dell’Asse Roma – Berlino, sconfitte pure in Nord Africa. Ci vollero altri quattro anni per battere la coppia funesta Hitler – Mussolini ed annientare il nazismo e il fascismo. Oltre ai giapponesi guerrafondai, con le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Bilancio: Mezzo mondo in ginocchio e 50 milioni di morti. Senza dimenticare il disastroso oltraggio alla natura, in mare, in terra e in ogni luogo, con le distruzioni, gli esplosivi, gli ordigni d’ogni tipo, gli incendi. Fu il giorno dopo l’Apocalisse!

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