Nella mattina di mercoledì 30 novembre, nell’ambito di una inchiesta che coinvolge la gestione della discarica di Borgogiglione, è stato arrestato il direttore operativo di Gesenu, Giuseppe Sassaroli, che subito si è dimesso dall’incarico.
Oltre all’arresto il blitz a Perugia ha portato anche al sequestro del “bioreattore” nella discarica di Borgogiglione, dopo quello di Pietramelina avvenuto nei giorni precedenti.
Posti sotto sequestro anche beni societari e personali per 27 milioni di euro. Altri 13 gli indagati. Indagati, a vario titolo risultano i folignati Ferdinando Baldini e Furio Baldini, Andrea Valentini, Roberto Damiano, il pratese Alessandro Canovai, Giuliano Cecili di Gubbio, Silvio Marano di Foggia, Gianluca Perni di Roma, i perugini Giosanna Pani, Renato Antonio Presilla, Evaristo Spaccia, poi Luca Rotondi di Umbertide, Luciano Sisani di Magione.
A 11 di loro viene contestato il reato di associazione per delinquere. Si sarebbero “associati per commettere una serie indeterminata di reati di traffico di rifiuti, gestione illecita di rifiuti, inquinamento ambientale, falso in registri e in atto pubblico, frode in pubbliche forniture, truffa aggravata e comunque attività illecite necessarie a consentire il conseguimento di ingiusti profitti da parte della Gesenu spa e della Trasimeno servizi ambientali”.
L’operazione è stata condotta dal Corpo Forestale dello Stato e dalla Guardia di Finanza, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Perugia, che sulla vicenda giudiziaria si è così espressa: «Grazie alla collaborazione tra le due forze di polizia è stato possibile svelare l’illecita attività di raccolta e gestione dei rifiuti posta in essere in Umbria dal gruppo Gesenu, che ha prodotto, nel tempo, ingenti danni all’ambiente con potenziali ripercussioni sulla salute e sul portafoglio degli ignari cittadini che pagavano le tasse di smaltimento».
Ieri, martedì 6 novembre, a una settimana dagli arresti domiciliari, l’ex direttore tecnico di Gesenu è stato sentito dal gip Alberto Avenoso, interrogato in qualità di principale indagato dell’inchiesta “Spazzatura d’oro” che lo vede coinvolto per reati come associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, frode e truffa a danno di 24 comuni dell’Ati 2.
E davanti ai giudici, presente anche il Pm della Direzione distrettuale antimafia, Valentina Manuali, Sassaroli ha parlato del suo ruolo all’interno di Gesenu, respingendo ogni addebito. Ha ricostruito la dimensione della Gesenu, con 60 impianti in tutta Italia di raccolta e trattamento di rifiuti da gestire direttamente o indirettamente, che conta 1.200 dipendenti, appalti e impianti in diverse regioni italiane, dalla Sicilia alla Sardegna, oltre che in Umbria.
Un uomo molto provato dal punto di vista psicologico, lo descrive così il suo legale David Brunelli.
La difesa punta a scagionare Sassaroli dalle eventuali responsabilità operativo-gestionali: «l’indagato non era a conoscenza di vicende che riguardano la gestione concreta degli impianti, né ha mai dato direttive illecite agli organi esecutivi». «Lui è direttore tecnico di tutta la società, ma si occupa di questi impianti a livello organizzativo strategico, delle problematiche generali. Non si è mai occupato di quale rifiuto entrasse o uscisse e se gli operai svolgevano bene il proprio compito. Le procedure aziendali sono volte a impostare e a risolvere correttamente queste problematiche, indicando per ciascun impianto le persone preposte a gestire, controllare, verificare e dare direttive» spiega ancora Brunelli.
«Anche rispetto agli impianti gestiti direttamente da Gesenu come Ponte Rio o Pietramelina – ha aggiunto il legale – Sassaroli non poteva sapere concretamente cosa entrasse, ma stabiliva solo cosa dovesse entrare in astratto. Se poi quello che è effettivamente entrato non corrisponde a quanto da lui astrattamente stabilito, questo non poteva saperlo». Le intercettazioni nel suo ufficio, dunque, sarebbero solo coincidenze, Sassaroli respinge ogni accusa di aver avallato la falsificazione dei risultati delle analisi o autorizzato qualsiasi tipo di smaltimento illecito.
«La realtà di qualunque grande amministrazione è che si usano le direttive, si fa il quadro. Ci possono essere stati sforamenti o altre piccole irregolarità – conclude l’avvocato – ma se è successo qualcosa le responsabilità vanno cercate tra chi sorvegliava l’impianto».
L’indicazione, dunque, è di scavare più a fondo tra i responsabili operativi degli impianti e fra i collaboratori dei capo impianti, perché le procedure di controllo prevedono attribuzioni ben precise.
Durante l’interrogatorio è emerso anche che sugli impianti si è sempre esercitato sia il controllo interno dell’azienda, sia il controllo esterno degli organi istituzionali, quali Regione, Provincia, Arpa, Asl, Noe.
Intanto, in attesa dell’udienza del riesame, Sassaroli ha chiesto di voler parlare con il magistrato. L’interrogatorio si terrà venerdì.