di Adriano Marinensi – I Club del calcio italico, nel loro insieme, stanno vivendo grossi pensieri di bilancio. Preesiste un buco nero, quasi consolidato su sontuosi livelli debitori . Ad ingarbugliare ancor più la matassa, ci ha pensato la sospensione dell’attività agonistica. Uno stato dell’arte che non si sa come e dove andrà a parare. Vanno dicendo che il prossimo mercato, solitamente animato di fuochi d’artificio, a suon di smargiassate, rischia di essere ricordato per la sua moscezza. Di sicuro, in fatto di trattazioni in contanti, malinconico e depresso. Prevarrà l’antico metodo del baratto, più o meno alla pari: io ti do un campione a te, tu mi dai due mezzi campioni a me. Niente “ronaldate”, causa austerità da coronavirus. Niente quotazioni da pazzi per “pedatori” e percentuali grottesche per i sensali, altrimenti detti procuratori.
“Povero mercato, i giocatori valgono il 30% in meno” (di pochi mesi fa), titolava così un quotidiano sportivo. Con le plusvalenze necessarie come il pane, saranno lancinanti dolori. Qualcuno s’azzarda ad invocare persino l’Europa, perché Francia, Spagna and company non se la passano meglio. Non sarebbe ragionevole andare in cerca di scialuppe di salvataggio lanciate dal Governo italiano, impegnato in operazioni di assistenza finanziaria di altri settori strategici. La risposta non potrebbe che essere: Bambole, non c’è una lira!
La storia intricata delle morti causate dall’epidemia al Pio Albergo Trivulzio (e negli altri R.P.A.) ha animato l’ambiente politico milanese. Ve lo ricordate il Trivulzio, il ricovero per anziani dove, con l’arresto del collettore di tangenti, ebbe principio lo spettacolo poco edificante di mani pulite? Assistere centinaia e centinaia di pazienti in una struttura gigantesca, anche se ben attrezzata dal punto di vista sanitario, è impresa titanica. Su quel presunto eccesso di decessi provvederà ora la Commissione d’inchiesta. Rimane però un’interrogazione: Come si fa ad assicurare a tanta vecchiaia quell’individuale “calore umano” ch’è, per quelli d’una verta età, indispensabile più delle medicine? Mi ha rattristato la foto di giornale che mostrava una mezza dozzina di lenzuoli bianchi dentro i quali c’erano anziani deceduti. Mi è tornata in mente un’altra peste di Milano, raccontata nei Promessi sposi, ed il carretto dei monatti. In più, nella foto, c’erano i lenzuoli.
Ancora sul fronte del coronavirus, mascherina si, mascherina no. Guardando in giro, pare carnevale e invece è una cosa maledettamente seria. In T. V. continuano a impazzare (e impazzire) i dibattiti, con la presenza purtroppo di tuttologi e predicatori. Le Istituzioni regionali, con la pluralità dei provvedimenti adottati, talvolta dissonanti dai deliberati del Governo, ci hanno messo un carico da undici. Oggi, persino quelli come me – negli anni ’70 del ‘900 – convinti sostenitori della riforma regionalista, cominciano a pensare che la rivoluzione sia finita. Per deviazionismo dagli ideali ispiratori. Nella piccola Umbria (92 Comuni per una manciata di irti colli), gli Enti locali si stanno impegnando nel mascherina si, mascherina no. Intanto abbiamo saltato a pié pari le atmosfere della Pasqua, diventata virtuale con i riti trasmessi dalla TV: la Messa solenne della Resurrezione, nel giorno della vita nuova, con un ufficiante straordinario, Papa Francesco (affaticato). La parola d’ordine è: evitiamo il contagio del virus e cerchiamo il contagio della solidarietà. Ora pure le feste di popolo sono ammainate: le celebrazioni della Liberazione (25 aprile) e del Lavoro (1 maggio). Luoghi di svago e d’arte interdetti e milioni di turisti perduti.
Ho letto l’ “avviso a pagamento” apparso sulla stampa quotidiana e sottoscritto da ragguardevoli firme di professionisti. Non condivideva alcuni provvedimenti, in materia di lotta antivirus del Conte nostro. Ad un certo punto, c’è scritto: “La filosofia di fondo è chiara. Si intende allargare la sfera d’azione del potere pubblico.” Nell’ultimo dopoguerra, che molto somiglia, quanto ad emergenza, all’attualità, un ruolo fondamentale lo svolse proprio l’intervento dello Stato in economia, con lo strumento operativo dell’I. R. I. Chissà che qualche sosia – opportunamente ammodernato – non possa funzionare pure nel dopocorana? Europa permettendo.
Ed ecco servita una notizia lieta: Eugenio Scalfari, storico editorialista e fondatore de “La Repubblica”, una delle voci più ascoltate del giornalismo politico, ha compiuto 96 (diconsi novantasei) anni in piena attività di servizio. Carattere distintivo l’intelligenza interpretativa, la passione, l’eleganza, come profilo identitario del rigore morale. Ha attraversato un’epoca in prima linea, al servizio dell’informazione e, ancor più, della cultura democratica. Quando, da Perugia, l’Ordine della stampa mi invia il “bollino”, previo pagamento della quota annuale, sulla busta ci scrivono: Al Giornalista … Dunque, sono giornalista anch’io, con quasi cinquant’anni di “tessera”. Il primo articolo lo firmai su un periodico studentesco. Si chiamava l’Archibugio, otto pagine composte in tipografia, lettera per lettera, riga per riga. La copia che conservo porta questa data: 15 dicembre 1954. Toglietemi tutto, meno il mio scrivere. Poco sopra, stavo per azzardare “il collega Scalfari ha compiuto …” Collega? Una eresia detta da uno dei tanti che riportano le “cronache dal basso” (secondo la definizione dell’Amico prof. Franco Ferrarotti). Il mio buon auspicio sarà di sicuro modesto, però glielo mando lo stesso: Tanti Auguri Maestro!
In Europa sono ancora in molti i “soci di riferimento” che – alla stregua dei Bravi a don Abbondio – continuano minacciare “questo Eurobond non s’ha da fare.” Eppure è una occasione che ridarebbe almeno una parte del perduto credito politico alla U. E. Non per caso si chiamò, verso gli inizi, Comunità (economica europea). Lo spirito animatore del Trattato di Roma puntava a costruire l’Unione vera. Non soltanto per barricare la pace e dare forza al grido “mai più la guerra”, ma al fine di esaltare la cooperazione internazionale e il mutuo soccorso. Insomma, l’armonia tra i popoli che va “certificata” nei momenti di crisi, con sacrifici comunitari e non celandosi dietro egoismi di potere e paraventi nazionalistici, ormai arrivati molto dopo il tempo massimo della storia.
In tantissimi luoghi di scienza del Pianeta, si sta cercando con accanimento e metodo, il vaccino in grado di sconfiggere il serial killer di questi giorni. Chissà che la scoperta non possa avvenire presto e per caso come fu per la penicillina, nel 1928, che alcuni anni dopo, fruttò ad Alexander Fleming il Nobel per la medicina. C’è un libro, in America, intitolato “Breve storia del corpo umano”. Vi si legge: “Nell’Illinois arrivano, ogni giorno, muffe e funghi, spediti da tutto il mondo. Un giorno, l’assistente di laboratorio comprò un melone giallo. Era coperto di muffa dorata. La muffa venne asportata e il melone mangiato. Le analisi rivelarono che quella muffa era 200 volte più potente di qualunque altra già testata.” Dunque, si trattò di una scoperta casuale; però, ogni grammo di penicillina prodotto da allora in poi, discende da quel melone.