Nella giornata di ieri si è assistito ad un ulteriore calo in Umbria della crescita dei positivi al Covid-19 che secondo i dati della Regione alle ore 8 di martedì 7 aprile, sono 1.263 (+10) rispetto al giorno precedente, erano stati più 14 nelle 24 ore precedenti). I guariti sono 89 (+ 5) e 279 i clinicamente guariti (+26). I deceduti sono 49 (+5).
I pazienti attualmente ricoverati sono 198 (-7), 41 (-5) in terapia intensiva.
Le persone in isolamento domiciliare sono 4.284 (-198) e 6.157 (+198) quelle uscite dall’isolamento.
Nel complesso entro le ore 8 del 6 aprile, sono stati eseguiti 13.274 tamponi (+701).
Ma dall’Umbria arriva una notizia che fa ben sperare. Una nuova speranza per combattere il Coronavirus arriva dalla sezione di Reumatologia del Dipartimento di Medicina dell’Università degli studi di Perugia, che ha messo a punto una procedura che sembrerebbe dare risultati importanti. Si tratta di adottare come nuovo protocollo terapeutico per i pazienti affetti da Covid-19 (sul quale, lunedì, è arrivato il parere favorevole dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco), l’impiego di un vecchio farmaco, la colchicina, in genere usato per trattare gli attacchi acuti gottosi e pseudogottosi (oltre che alcune patologie autoinfiammatorie). Lo studio prenderà il via nei prossimi giorni sotto l’egida della Società italiana di reumatologia (Sir), della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e dell’Associazione italiana pneumologi ospedalieri e sarà coordinato dal gruppo della Reumatologia di Perugia, coadiuvati per la gestione tecnica dal centro studi della Sir e del centro ricerche dell’Aipo.
Il farmaco, secondo quanto spiega l’Ateneo, ha una azione doppia: la prima di tipo antivirale e la seconda basata sui «potenti effetti anti-infiammatori» che vengono sfruttati nelle patologie reumatologiche. Il trattamento, secondo quanto stabilito, avverrà su pazienti ancora in una fase abbastanza precoce della malattia e «questo – sottolinea l’Università – lo differenzia da studi con altri farmaci impiegati in reumatologia, e in fase di sperimentazione per tali pazienti, come gli inibitori dell’interleuchina 6 e dell’interleuchina 1, che vengono adottati in genere nel trattamento delle situazioni più avanzate e più critiche. Lo scopo principale dello studio è quindi quello di valutare se la colchicina possa essere efficace nel prevenire i gravi danni organici, in particolare polmonari, che sono determinati dalla cosiddetta ‘tempesta citochina pro-infiammatoria’ e che sono responsabili dell’elevata frequenza di ricovero in terapia intensiva e dell’alta letalità della malattia».
La speranza ora è che «i primi dati di questo studio, del tutto nuovo nel panorama internazionale, possano essere ottenuti al più presto, per capire se tale terapia possa dare un significativo contributo al trattamento di questa devastante affezione». Al momento, come spiegato nei giorni dalla professoressa Daniela Francisci, che dirige il reparto di Malattie infettive dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, tutte le terapie (in attesa di un vaccino che non arriverà prima di un anno) vengono portate avanti su base empirica; tra i farmaci utilizzati, con risultati diversi a seconda dei casi, ci sono il Tocilizumab, il Remdevisir e alcuni già usati contro l’Hiv.