Di Adriano Marinensi – Se la terra, in quanto pianeta dell’universo, avesse voce, il suo sarebbe un atroce grido di terrore. Rivolto all’uomo che sta sconvolgendo gli ecosistemi. E un insulto ai tantissimi che non hanno rispetto per la natura e per l’avvenire dell’umanità. L’inquinamento, come arma d’offesa dell’intero pianeta, sta innescando processi negativi ad alto impatto ambientale e ad alto rischio per la salute degli esseri viventi. Oggi vorrei fare una breve riflessione intorno ad uno dei cosiddetti “fattori inquinanti”: la diffusione e dispersione delle materie plastiche.
C’è una canzone di Lucio Dalla, scritta nel 1977, che ripete ossessivamente “così stanno uccidendo il mare, così stanno umiliando il mare, così stanno bruciando il mare”. Il problema sollevato dal cantautore 40 anni fa, oggi è diventato una mezza catastrofe. Ignorando, in questa inadeguata riflessione, gli oltraggi di varia natura operati dalla mano “sinistra” del progresso, vorrei parlare del mare e della plastica, anzi del mare di plastica. Allora per iniziare a dovere, serve subito un esempio. Eccolo: un vortice subtropicale ha creato, nell’Oceano Pacifico, un accumulo di spazzatura galleggiante, esteso quanto la dimensione di mezzo continente americano. Si tratta di una sorta di isola che non c’era, che invece ora c’è, fatta soprattutto di materiale plastico. D’ogni genere e d’ogni qualità, portato dalle correnti e destinato a restare in mare per qualche secolo.
E’ accertato che altre isole che non c’erano, ora ci sono pure in altri oceani e, visto ciò che in mare galleggia in giro, se ne prevedono altre in formazione. Per di più e in molta parte si tratta di plastica triturata dal sole, dal sale e dal moto ondoso, quindi un accumulo di frammenti microscopici che ha creato una sorta plancton artificiale e sta uccidendo alcune specie di fauna marina. In poche parole, una inquietante calamità perpetrata conto natura, con il rischio reale di sconvolgere la catena alimentare di molte specie acquatiche ed effetti altamente dannosi per l’uomo. La plastica, dunque, da strumento utile al progresso, sta diventando elemento capace di danni irreversibili. Sono milioni di tonnellate quelle finite in mare. E non sono pochi i grandi mammiferi soffocati da sacchetti, buste, bottiglie, ingoiati accidentalmente. Non sono indenni neppure le acque intorno all’Italia: tra la Corsica e le coste tirreniche si è andata formando una estesa “chiazza” di microframmenti di plastica alla deriva, che prima o poi finirà per danneggiare anche l’economia turistica.
Leggo su un sito di scienza ecologica e trascrivo: “Kamilo Beach è una remota spiaggia tropicale di aspetto idilliaco, nell’arcipelago delle Hawaii. Ha un problema: è ricoperta di plastica. L’hanno chiamata la spiaggia più sporca del mondo. Sembra che lo strato superficiale di sabbia sia formato per il 30% di sostanze plastiche”. Questa notizia ha uno specifico significato. Vuol dire che, pure i paradisi della natura, sparsi negli oceani, cominciano a fare i conti con l’assalto dei rifiuti. In mare, galleggiando, la plastica riesce a sostenere oggetti d’ogni dimensione e d’ogni altro materiale, gettati disinvoltamente dai cittadini, che altrettanto disinvoltamente li abbandonano sulla terraferma. E’ il malcostume messo in atto al termine dei picnic da allegre brigate che lasciano in giro piatti, bicchieri, posate di plastica, insieme agli avanzi del pasto consumato sui prati e nei boschi. Sono costoro soltanto alcuni dei nemici sconsiderati dell’ambiente, ai quali va rivolta una riprovazione solenne, unita magari a qualche sonora sanzione.
Ancora la scienza ci informa che il 70% della superficie del nostro pianeta è costituita da acqua. Se riempiamo i mari e gli oceani di elementi estranei, finiremo per alterare l’ecosistema in maniera irreversibile. E’ la stessa scienza a dichiararsi impotente nel debellare questa “negatività” se non cambieranno i comportamenti, gli usi e i costumi dei cittadini; se non diminuirà l’utilizzo esasperato degli incarti da parte del commercio; se non riusciremo a contenere la produzione e la diffusione degli oggetti, costruiti con materiali non di provenienza naturale. Occorrerà sviluppare ulteriormente la ricerca nel campo delle materie biodegradabili ed applicare le norme di divieto – lo scrivo soltanto per esempio – nella distribuzione delle vecchie borse della spesa.
Il loro non marginale contributo lo portano i fiumi e i troppi “agglomerati urbani” ancora privi di depuratori delle acque; le industrie che – si legge spesso in cronaca – sversano nei corsi d’acqua sostanze “non identificate”; quella parte dell’agricoltura che continua ad usare additivi chimici proibiti. Il resto lo fanno le piattaforme petrolifere, le navi cisterna e molti altri “soggetti” imputabili del reato di lesa natura marina. In un Paese come l’Italia, immerso nel mare e che trae dal turismo un capitolo rilevante del suo bilancio economico, è indispensabile far conoscere questi problemi e sensibilizzare le coscienze perché facciano da sentinelle del bagnasciuga. Se la “pattumiera” si espande, il rischio diventa incombente e quindi abbiamo tutti il dovere di contrastare il deleterio fenomeno.
Ora uscendo un po’ dall’argomento, senza però cambiar tema, c’è un altro aspetto negativo che investe la sopravvivenza di intere zone costiere. Si tratta del paventato innalzamento del livello dei mari, temuto dagli scienziati e conseguente allo scioglimento dei ghiacciai. L’aumento delle temperature, dovuto all’inquinamento dell’atmosfera (eccolo il tema che torna), sta causando fenomeni innaturali a danno dei depositi perenni di acqua gelata, presidio di difesa secolare. Trascurare questo aspetto vuol dire esporsi alle cosiddette calamità naturali. Non per caso, tali elementi di pericolo si sono andati accentuando durante l’epoca moderna e quindi spetta alla presente ed alle prossime generazioni mettervi riparo. In fatto di ambiente, i risultati usciti dall’ultimo G 20 sono purtroppo tutt’altro che incoraggianti. E Trump par d’essere il lupo cattivo.
A questo punto, si impone l’obbligo di passare dal generale al particolare e di tornare a Terni, per un cenno fugace sulla raccolta differenziata. Che non sembra ancora decollare secondo gli obiettivi programmati. Il “nobile” impegno di selezionare all’origine i rifiuti domestici, non è entrato tra i doveri di molti cittadini. Questo invece è l’aspetto fondamentale di un servizio che non potrà mai avere successo, senza la piena collaborazione degli utenti. Quindi, qualsiasi richiamo al senso di civile responsabilità, da qualunque parte venga, costituisce un aiuto per realizzare un modo nuovo di considerare i rifiuti, non più come problema da risolvere da parte di altri, ma interesse fondato su una migliore qualità della vita per tutti. Scrisse un famoso poeta spagnolo: “Io sono me stesso più il mio ambiente. Se non preservo il mio ambiente, non preservo neanche me stesso”.