In data 18 agosto lo storico impianto cementiero di Ghigiano, di proprietà del colosso imprenditoriale Colacem, ha spento i propri forni. Una decisione sofferta ma definita inevitabile dal gruppo eugubino, che avrà durata 4 mesi, per poi riprendere per altri 2 e spegnersi nuovamente a marzo 2022 per altri 4 mesi.
Uno stop che ciclicamente andrà a ripetersi per evitare contraccolpi economici e di competitività legati alle nuove normative europee sulle emissioni di CO2, anidride carbonica.
Le nuove regole tassano il consumo di combustibili di origine fossile – come il pet coke utilizzato nella cementeria di Ghigiano – imponendo, oltre un certo limite definito di quote di CO2, una serie di costi e di penalizzazioni che sul mercato rendono praticamente antieconomico produrre cemento. Almeno in Umbria.
Già, perchè la normativa europea consente di evitare l’addebito di quote CO2 su quegli impianti che utilizzano combustibili non convenzionali, meglio noti come CSS o combustibili solidi secondari. Il cui impiego alle cementerie di Gubbio è al centro di diatribe ormai da mesi con alcuni ambientalisti e il Sindaco di Gubbio Stirati.
Questo avviene a Gubbio, quando in quasi tutte le regioni italiane è previsto l’utilizzo di CSS come da normativa europea e ora anche italiana.
L’uso dei CSS nel cemento: una soluzione nel mondo, un problema per alcuni sindaci italiani
C’è una sentenza internazionale, quella della Corte Superiore di Giustizia Europea (V Sezione) del 13 febbraio 2003 – Caso C-228/00 che stabilisce che l’utilizzo di rifiuti come combustibile nei forni da cemento deve essere classificato come attività di recupero.
Alcuni degli ultimi dati disponibili (2011) evidenziano che la media Europea di sostituzione di combustibili tradizionali con combustibili alternativi si attesta al 30% superan-do in alcuni Stati anche il 60%. A livello di singolo impianto esistono oggi in Europa cementerie che hanno raggiunto un livello pari al 100% sostituendo integralmente i combustibili fossili con i combustibili alternativi. L’industria italiana del cemento potrebbe realizzare percentuali di sostituzione simili o superiori a quelle degli altri paesi, in tutta sicurezza. Dall’attuale 10% di sostituzione termica, l’insieme delle cementerie italiane sarebbe tecnologicamente in grado di arrivare a livelli del 60%, valore almeno confrontabile a quello tedesco.
I CSS sono una risorsa, usiamola
Al di là degli aspetti normativi che lo regolamentano, dal punto di vista tecnico e pratico non è corretto definire il Combustibile Solido Secondario (CSS) semplicemente un rifiuto. Tale combustibile, infatti, deriva da una serie di particolari trattamenti fisici e meccanici del rifiuto solido urbano indifferenziato (RSU), che avvengono a valle della raccolta differenziata, accrescendone il valore e rendendone possibile un impiego, quale apportatore di calorie in un sistema di combustione, il cui scopo non è l’incenerimento di un rifiuto, ma la fabbricazione di un prodotto (cemento). Tanto ne consente un utilizzo, che è alternativo allo smaltimento in discarica e all’incenerimento e sfrutta un processo di combustione comunque esistente con finalità produttive.
Dal punto di vista normativo, poi, a seguito dei suddetti trattamenti, nel rispetto di talune rigorose condizioni dettate dal D.M. n. 22 del 14 febbraio 2013, il rifiuto così recuperato cessa di essere tale ed è riconosciuto come prodotto combustibile alla stregua dell’Allegato X della Parte Quinta del D.Lgs 152/2006. In tali casi, è quindi la lavorazione effettuata sul rifiuto che ne determina la trasformazione in un prodotto.
L’utilizzo del CSS è previsto dalle migliori tecnologie disponibili (MTD) di settore e rispetta la gerarchia UE dei rifiuti, si colloca a valle del riciclo e del recupero di materia imponendo il recupero energetico, prima dello smaltimento in discarica.
Ad esempio, a meno di 100 km da Gubbio, nell’Aretino, la stessa Colacem utilizza CSS nell’impianto di Rassina, scelta fortemente sostenuta dalla stessa Regione Toscana.
Il risultato di quella che appare come una normale scelta industriale, è invece pesante sul territorio: non solo in termini di cassa integrazione per parte dei dipendenti del gruppo eugubino, ma soprattutto per il crollo verticale nel fatturato di numerose aziende dell’indotto sul comprensorio di Gubbio, che non possono spostare la propria attività in altre regioni. In questo contesto il ritorno dalle vacanze per i vertici di Regione e Comune di Gubbio sarà probabilmente caratterizzato da nuovi incontri – l’ultimo si è svolto il 3 agosto scorso – per uscire da una situazione di impasse molto preoccupante.
Mentre il dibattito campeggia, i forni di Ghigiano si sono spenti. E per l’economia di Gubbio non è una buona notizia.
Tant’è che Emanuela Mori, coordinatrice provinciale di Italia Viva, ha espresso grande preoccupazione «sulla situazione economica eugubina” evidenziando che ciò che sta accadendo «non è certo un fulmine a ciel sereno, perché – dice – da molto tempo la Colacem aveva evidenziato all’amministrazione comunale e regionale questa potenziale decisione, collegata all’impossibilità di mantenere l’attuale livello occupazionale e produttivo, di fronte alla rigidità istituzionale manifestata soprattutto da parte del Comune di Gubbio». Secondo Mori «la crisi può innescare un effetto domino, anche nei confronti di tutto l’indotto collegato alla Colacem, mettendo quindi a rischio centinaia di posti di lavoro in un contesto territoriale già fortemente provato da altre crisi industriali. Quindi si invita la Regione a farsi capofila per far sedere attorno a un tavolo gli imprenditori e l’amministrazione comunale affinché le decisioni da prendere non siano basate solo sul pressappochismo di alcuni e sulle furbate politiche di altri».