di Adriano Marinensi – La scorsa settimana, nella lettera ad un giornale in cronaca locale, una lettrice ha scritto: “Signor Sindaco, le buche sono un incubo per noi disabili”. Gentile Concittadina, ho piena consapevolezza del problema da Lei segnalato che, per chi ha limiti di deambulazione – persone anziane comprese – diventa un incubo. A Terni, estende i malefici effetti a tutte le categorie. Dai disabili ai normodotati. Dei rischi che si corrono, ho trattato una infinità di volte, a mezzo stampa. Fin da una dozzina di anni fa, invano. Erano e sono sconnesse molte strade, dissestati numerosi marciapiedi e gli attraversamenti pedonali ormai quasi tutti cancellati. Sono biasimevoli pure le buche createsi nelle pavimentazioni di pregio nel centro urbano e ricoperte con vergognose toppe di catrame. Il tutto, purtroppo nell’indifferenza (negligenza?) di chi ha il dovere di tutelare i cittadini e il decoro della città.
Rubando una ricorrente espressione linguistica ad Elia Rossi Passavanti (di storia ternana fu campione), “si diceva allora e si può dire ancora al presente” che tali insidie, a Terni, sono un pericolo costante e quasi inalterato. Al tempo della cosiddetta prima Repubblica, ad eliminare le buche e rifare i marciapiedi ci pensava San Voto (mica S. Vito!). La sua festa non ricorreva ogni anno, come per gli altri venerati sul calendario, ma alla vigilia di ogni elezione per il Consiglio comunale. Per somma gloria, ci scappava pure qualche miracolo. Dall’autoparco municipale, usciva una carovana di addetti alla manutenzione stradale, con macchine al seguito, e il manto viario – “deambulacri” compresi – diventava un bigliardo.
Con assoluta puntualità, i governanti municipali – i quali l’immaginetta di San Voto la tenevano sopra il comodino per la devozione serale – qualche settimana prima del ricorso alle urne, prendevano pala e catrame (si fa per dire) e riempivano, riempivano, riempivano. L’intento era quello di “spianare la strada” alla conservazione del potere a Palazzo Spada, grazie al “suffragio” (universale), reso a San Voto, dagli elettori riconoscenti. Si salvavano così le balestre (delle automobili) e le cadreghe (degli Amministratori). Certo, a guardare le cose con occhio attento, quel frenetico “attura, attura”, aveva molta similitudine con il comportamento del gatto birbone che, dopo averla fatta nella buca, la ricopre, consapevole di dover nascondere la sua magagna. In occasione dell’ultimo impegno elettorale, il miracolo di San Voto non c’e stato. Forse perché manco Lui, seppur aduso ai prodigi, ce l’avrebbe fatta. E dire che un intervento taumaturgico sarebbe utilmente servito pure ad evitare ai ternani di cadere dalla padella bollente, tenuta con la mano sinistra, nella brace ardente “attizzata” con la mano destra, capace – per ciò che è allo stato degli atti – di un estro amministrativo alquanto tarantello.
Adesso, l’altra insidia stradale: le “zebre” morte. Si, morte, in quanto, a tal punto, di moribonde non ce ne sono quasi più. E la mia domanda fatta nel passato, si può ribadire. E’ questa (attenzione, perché un po’ lunga): Se uno dei sempre più rari cittadini, i quali cocciuti come sono, si ostinano nell’andar a piedi “giranno pe’ Terni”, viene arrotato mentre s’avventura lungo le strisce invisibili, i danni conseguenti al sinistro vanno addebitati: 1) al conducente del veicolo (difficilmente le poteva vedere, di notte poi); 2) all’investito (incautamente cavalcava il cadavere della “zebra”); 3) all’Ente locale (responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia)? Dei tre, chi ha il preponderante carico di colpa? Non si tratta certo di una questione di lana caprina, né la fattispecie di un semplice interrogativo di scuola.
La pelle è pelle e la sicurezza stradale, insieme alla tutela generale delle persone, nel territorio comunale, spetta al “soggetto” competente. E va aggiunto che, gli attraversamenti pedonali (pure questo l’avrò già scritto una dozzina di volte), nella funzione di “salvagente”, fanno parte integrante della segnaletica stradale che contribuisce non marginalmente a realizzare una mobilità urbana senza repentagli. Per i disabili e per i normodotati. Dunque, se gli “inquilini” di Palazzo Spada – in attesa dell’auspicabile sfratto – si volessero dar da fare, renderebbero un doveroso servizio alla collettività. Grazie, anche a nome della gentile Signora doverosamente citata all’inizio.
Parlando sempre di viabilità, una breve annotazione per concludere. E per confessare una figuraccia che mi hanno fatto fare. E’ purtroppo documentata in un articolo di vecchia data (13 febbraio 2009). Oggetto, il breve “passo” conclusivo della superstrada Terni-Rieti. Ecco qua: “Siccome chi sta lavorando alla sua realizzazione – scrissi, tra altro, in illo tempore – par che sia giunto a metà dell’opera, allora si può dire (ingenuo fui!) che stiamo procedendo con il passo giusto. E presto andremo dritti a Rieti in superstrada”. Era anche accaduto che, essendo il ternano Enrico Micheli Ministro dei LL.PP., il piano di lavoro fosse stato ripescato dal mare dell’oblio dov’era quasi annegato. Per di più, Micheli aveva trovato pure i quattrini per riprendere il cammino.
E ancora, la tratta umbro – sabina della ex superstrada dei Due Mari (progettata negli anni ’60 del ‘900), all’alba del 2000, l’avevano inserita tra le “infrastrutture di preminente interesse nazionale”. Anche un altro paio di ostacoli potevano dirsi pressoché superati: la costruzione del controverso ponte sulla Valnerina nei pressi di Papigno e lo scavo della galleria omonima. Dunque, a tal punto (ripeto, 13 febbraio 2009), la colorazione rosa delle mie previsioni per una rapida conclusione della telenovela, ci stava tutta. D’altronde, si trattava di raggiungere il confine della Sabina, a due passi quindi dalla parte già in esercizio. E io li a fare l’uccello del buon’augurio. Sono passate, da allora, 40 stagioni e al traguardo non ci siamo ancora arrivati. Che brutta figura ho fatto, ragazzi!