Pensava che la madre gli avesse messo il malocchio, l’ha sgozzata e poi ha detto che si è ammazzata da sola. Riconosciuto colpevole di aver ucciso la mamma Anna Maria Cenciarini, il tifernate Federico Bigotti è stato condannato a passare i prossimi dieci anni in una Rems (strutture residenziali sanitarie), ma l’assenza di posti in quella di Volterra (l’Umbria non ne ha una sua e il giovane era destinato lì) ha creato una situazione di empasse da cui è scaturita una soluzione tampone che prima o poi dovrà essere rivista, per svariati motivi.
Federico è infatti attualmente ricoverato nella Spdc dell’ospedale di Perugia, dopo che il giudice Valerio D’Andria e i suoi legali Francesco Areni e Vincenzo Bochicchio si erano molto adoperati per trovargli una sistemazione, ma ora viene fuori che quello non è un posto adatto per l’esecuzione della sua misura di sicurezza.
Per svariati motivi. Il primo è relativo al fatto che Bigotti dovrebbe essere sottoposto ad un percorso di recupero e, per quanto in ospedale a Perugia, abbiano dato disponibilità ad accoglierlo, non possono programmare a così lungo termine.
C’è poi un aspetto, affatto secondario, legato alla sicurezza. Dal reparto Federico, e chiunque altro vi sia ricoverato, non può uscire: porte e finestre non hanno maniglie e solo medici e infermieri hanno le chiavi. Ma Bigotti, in teoria, potrebbe anche firmare ed uscire, e nessuno potrebbe impedirglielo. Mentre invece in una Rems c’è la vigilanza esterna. «E’ una situazione paradossale – affermano i due legali – Federico ha bisogno di cure che così non gli vengono fornite».
Per questo il magistrato di sorveglianza Pieracarlo Frabotta, è andato in ospedale per l’udienza, e dunque ha scritto al Dap per stimolare il Dipartimento a «trovare una collocazione adatta per questo ragazzo che ha ucciso la madre, ma che ha assoluto bisogno di cure in quanto, come certificato in una relazione depositata, e come già era più volte emerso, è socialmente pericoloso».