Di Adriano Marinensi – E’ il 19 marzo di 35 anni fa, Terni e l’Umbria sono in festa: arriva in visita ai lavoratori delle Acciaierie, Giovanni Paolo II. Una giornata storica, vissuta con intensità, dalle Istituzioni regionali e locali, dalla città, dagli operai. Grande mobilitazione a cominciare dal mattino quando l’elicottero papale prende terra dentro l’ex campo di calcio di Viale Brin, sino al tardo pomeriggio per la Messa solenne allo stadio Liberati.
Il Cardinale Carol Wojtyla è salito al soglio di Pietro il 16 ottobre 1978, grazie ad una votazione, in Conclave, a larga maggioranza (99 voti su 111). Ha assolto al suo apostolato con cristiana autorevolezza e instancabile spirito missionario, per 27 anni, sinché, malato e stanco, disse “lasciatemi tornare alla casa del Padre”. Erano le 21,37 del 2 aprile 2005.
A Roma, il 13 maggio 1981, è un giorno qualunque. Migliaia di fedeli affollano Piazza S. Pietro. Giovanni Paolo II sta attraversando la folla sulla “papamobile” scoperta. A poca distanza da lui, c’è un turco, si chiama Ali Agca, ha 23 anni.
Gli spara tre colpi di pistola ferendolo all’addome. Al Policlinico Gemelli viene sottoposto ad un intervento chirurgico durato 6 ore. E’ grave, ma la fibra è forte e resisterà. Si apre subito una ridda di ipotesi nella ricerca dei mandanti di quel gesto iniquo. Si guarda soprattutto ad est. Per Mosca, quel Prelato polacco aveva già creato, nel suo Paese, grossi problemi alla nomenclatura filo sovietica; da Papa è ancora più pericoloso. E sarà infatti artefice non secondario della fine del sistema comunista oltrecortina. Lascia intendere la sua determinazione, quando va a Varsavia a parlare dei diritti umani, delle libertà sociali. Quindi, il sospetto regge.
Per l’attentato, viene istituita una Commissione di indagine. Si segue all’inizio la cosiddetta “pista bulgara” e ipotizzato il coinvolgimento del KGB, aiutato dalla STASI, la polizia segreta della Germania est. I risultati dell’inchiesta non riescono a svelare i coni d’ombra che avvolgono l’atto di quell’estremista di destra, appartenente alla setta dei “lupi grigi”. Il 13 maggio 2000, il Papa svelerà il 3° Segreto di Fatima. C’è “un Vescovo, vestito di bianco, che cammina tra i cadaveri e cade a terra morto, colpito da frecce e armi da fuoco”. Si tratta di una rivelazione nella quale non è difficile riconoscere lui, vestito di bianco, che viene colpito con arma da fuoco.
Ci penserà proprio Ali Agca ad ingarbugliare ancora di più la matassa, tirando in ballo, nella vicenda, il rapimento di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana. Ha 15 anni Emanuela quando scompare in circostanze anch’esse mai chiarite. Frequenta una scuola di musica, a Roma. Il 22 giugno 1983, uscita dalla lezione, viene rapita in Piazza S. Apollinare. Un vigile urbano dice di averla vista parlare con una persona a bordo di una BMW nera. Con un’auto identica, più avanti nel tempo e nelle indagini, Sabrina Minardi, ex amante di Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della banda della Magliana, affermerà di aver trasportato Emanuela. La banda della Magliana è stata una delle peggiori organizzazioni criminose di Roma e Renatino un esponente di spicco. Lo fanno fuori altri malandrini suoi concorrenti (2 febbraio 1990), nel mercato di Campo de’ Fiori. Alla banda è stato addebitato un “florilegio” di reati tra i quali collusione con la mafia, con i Servizi segreti, traffico di droga e armi, rapine, omicidi, estorsioni, corruzione e un altro bell’elenco.
Durante una puntata della trasmissione RAI “Chi l’ha visto ?” (luglio 2005), una voce anonima telefona dicendo “andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica di S. Apollinare, a Roma”. Ci vanno a vedere e ci trovano proprio Renatino. Domanda: Che ci fa in un luogo sacro il corpo di uno dei peggiori malavitosi della Capitale ? Altro mistero molto poco gaudioso. Si scopre che stava al Verano e lo hanno trasferito nella Basilica, affidata all’Opus Dei, con il consenso del Rettore e il placet di una porpora importante. Le spese per il restauro della Chiesa e della cripta le ha pagate la vedova di Renatino.
Intanto si continuava a brancolare nel buio, per quanto riguarda il rapimento di Emanuela Orlandi. Arrivano le prime telefonate. Una è di un tale Pierluigi. Sostiene che la sua fidanzata ha visto due ragazze, a Campo di fiori: una vendeva cosmetici ed aveva con se un flauto. Per suonarlo si doveva mettere gli occhiali, ma si vergognava. La segnalazione viene messa in relazione con un’altra telefonata fatta da Emanuela alla sorella il giorno del rapimento. Le aveva detto che stava andando ad un appuntamento di lavoro offerto da una ditta di cosmetici. Eppoi, lei suona il flauto e gli occhiali se li mette malvolentieri. Dunque, può essere una traccia, Chiama un altro tizio di nome Mario. Anche lui sostiene di aver incontrato due ragazze che vendevano cosmetici; una si chiama Barbara e gli racconta di essere fuggita di casa. Quasi non bastasse, ecco entrare in scena Mirella Gregori, un’altra quindicenne scomparsa da Roma il 7 maggio 1983. Si cercano riscontri che colleghino i due fatti tra loro e con il Vaticano, inutilmente.
Alla Sala stampa Vaticana, telefona un uomo (per l’accento straniero, diventa l’Amerikano). Nella vicenda di Emanuela, chiede l’intervento del Papa per liberare Agca in cambio della ragazza. L’Amerikano, fa 16 telefonate con varie richieste, ma non fornisce alcuna indicazione attendibile. Arrivano pure denunce anonime contro Prelati che alimentano, la cosiddetta “pista vaticana”. Compare, tra i chiamati in causa dalla solita “persona non identificata”, il nome di un collaboratore di Marcinkus, definito “complice del rapimento e di tante altre brutture, in Vaticano ed allo IOR”. Sospetti, accuse generiche, complotto contro il Papa, sparizioni per conto del Vaticano, personaggi di scarsa credibilità e 32 anni di indagini per arrivare al nulla. Nell’ottobre del 2015, la ponderosa inchiesta, si conclude con l’archiviazione in quanto “gli accertamenti acquisiti nel corso delle indagini, sono sprovvisti della consistenza probatoria necessaria per sostenere l’accusa in giudizio”, a carico dei sei indagati, tra i quali il Rettore di S. Apollinare. Il caso è chiuso. In conclusione, con tutto quanto sopra messo insieme – tra tentato omicidio del Papa e presunti incastri con i rapimenti Orlandi e Gregori, i “lupi grigi”, le losche figure della banda della Magliana, i cadaveri eccellenti ritrovati molto fuori posto e tanti altri aspetti quantomeno intriganti – è stato costruito un garbuglio gigantesco e una montagna di atti investigativi, dentro un labirinto senza uscita. Cosicché – almeno all’esterno – ogni cosa è rimasta nella tenebra opaca del solito impenetrabile mistero italiano. Per il godimento di talune trasmissioni T V che, di tanto in tanto, ci inzuppano il biscottino.