di Adriano Marinensi – Eravamo in pieno inverno del 1995, quando l’IRI in liquidazione vendette l’Acciaieria di Terni alla KAI, impresa italo tedesca formata, fifty-fifty, dalla cordata Falk, Riva, Agarini e dalla germanicissima Krupp. Avvenne nel corso delle privatizzazioni delle aziende di Stato. Che l’Europa aveva disdegnato. La firma sul contratto la mise Silvio Berlusconi, allora Capo del Governo. La KAI s’impegnò a versare, in tre rate, oltre 600 miliardi di lire e si prese le chiavi della siderurgia ternana. In quel tempo, ricapitalizzata, produceva laminati piani di acciai speciali inossidabili, magnetici, al titanio ed al carbonio, con tecniche avanzate e circa 4.000 dipendenti.
Poco dopo, gli “italiani” della KAI fecero l’affare, passando le loro quote alla Krupp (nel 1999 diventata ThyssenKrupp) che rimase unica proprietaria e referente straniera d’ogni (arduo) confronto politico e sindacale. Un management, da Terni, lontano, ad Essen, nella regione della Rhur. Ora, quei tedeschi lì, stanno per andarsene e mi sembra storicamente utile approfondire la conoscenza, prima di perderli. Indagando il remoto passato, alle origini della famiglia Krupp si trova l’ “antenato” Arndt, di mestiere commerciante. Immigrato ad Essen, nel 1587, per presto divenire benestante, sembra acquistando i beni dei contadini che fuggivano dalla peste.
Molto dopo, nei primi anni dell’800, uno dei numerosi Friedrich prese in mano l’azienda di famiglia. A Sheffield, in Inghilterra (dove fu giocata la prima partita ufficiale della storia del calcio), c’era un tale che aveva inventato il processo per la produzione dell’ “acciaio al crogiolo”. Una novità affermata sul mercato europeo. Sin quando entrò in vigore il blocco contro Napoleone Bonaparte; fu allora che Friedrich si mise in testa di fabbricare lui quel tipo di metallo e ci riuscì. Il successore Alfred (Alfried Felix) fu il primo Krupp a produrre blocchi di acciaio fuso, insieme ad un cannone in retromarcia. Con questi due prodotti innovativi acquisì notorietà. A metà del XIX secolo, l’azienda era ormai diventata di grosse dimensioni, leader in Germania nel settore siderurgico: alla morte di Alfred, contava oltre 20.000 lavoratori in città.
Ci sono stati, nei giorni nostri, a Roma, Papa Giovanni (XXIII), Papa Paolo (VI) e Papa Giovanni Paolo (I e II); ci furono, ad Essen, Friedrich poi Alfred e quindi Friedrich Alfred, verso la fine del 1800. Lo chiamarono Fritz per il suo carattere parte filantropo, parte godereccio. Condusse però con sagacia l’azienda. Pensò anche che fosse cosa buona godersi la vita a Capri dove pose all’ancora un ragguardevole Panfilo, per i suoi agi promosse la costruzione di una lussuosa villa e della strada intitolata al nome dei Krupp. Uno scandalo che coinvolgeva dei minori, lo riportò in patria. Morì per sospetto suicidio.
Subentrò al vertice la figlia Bertha. Una donna da sola, capitano di così grande industria non parve adeguata. Per lei il Kaiser Guglielmo II scelse come marito Gustav von Bohlen, a seguito del matrimonio, diventato Gustav Krupp. Durò poco, perché venne scalzato dal figlio Alfried, il quale – siccome gli affari sono affari – si mise ad aiutare la Germania nelle operazioni di riarmo. Il ruolo strategico e la potenza industriale della Krupp ebbero un ruolo protagonista, sia nella prima, sia nella seconda guerra mondiale, per la produzione di armi d’avanguardia. Nel conflitto 14 – 18, mise in campo cannoni enormi (la Grande Bertha) che sparavano grossi proiettili a grande distanza. Parlando dei Krupp, della loro potenza industriale, economica e politica, sono stati sempre usati aggettivi superlativi. Durante il Terzo Reich, quasi uno Stato nello Stato. I cannoni dei Krupp, i sommergibili dei Krupp, i carri armati dei Krupp, tutte formidabili macchine da combattimento. Insomma, sempre i Krupp al centro dell’Europa e non solo. Le vicende dell’azienda sono state lo specchio della famiglia e del suo impero finanziario.
Colossale l’impegno durante il secondo conflitto 39 – 45, con la costruzione su larga scala di armamenti per la Wehrmacht. Vanno ricordati i “cannoni ferroviari”, pezzi mai utilizzati prima sui campi di battaglia: pesavano oltre 1000 tonnellate, pachidermi dell’artiglieria e mostruose bocche da fuoco. Eccone due simbolicamente, “Leopold“ e “Robert”. Attraversarono l’Italia per essere usati nella Campagna d’Africa; rimasero attestati nei pressi di Ciampino e li catturarono gli Alleati.
Ho letto alcuni resoconti del dopoguerra che dicono: in conseguenza della collaborazione offerta alle truppe di Hitler, i Krupp dovettero subire, uno dei “processi paralleli”, a Norimberga. Principale imputato Alfried Krupp, per crimini contro la pace e l’umanità e per l’utilizzo di 100.000 lavoratori forzati nelle sue fabbriche. Si prese 12 anni di reclusione e la confisca dei beni. Il complesso industriale fu messo sul mercato, ma non trovò compratori: se lo riprese Alfried nel 1953. Con la tolleranza degli americani che ebbero paura della ulteriore influenza dell’URSS in Europa occidentale e ritennero quindi utile la presenza di “roccaforti” tedesche in Germania. Luchino Visconti chiese di girare le scene del suo film “La caduta degli dei” nella villa Hugel dei Krupp: loro dissero no. Perché “avevano capito che il regista non poteva capire”. Certo, è complicato interpretare i caratteri – degni e meno degni – di una “famiglia imperiale” che sta, da secoli, nella grande storia del mondo.
Ed ecco, in chiusura, una telegrafica osservazione totalmente fuori testo, personale, dissonante, peregrina. E’ morto Maradona e, come diceva mia nonna, sia pace all’anima sua. Anche se, per taluni aspetti della vita extrasportiva, qualche tribolo in Purgatorio gli toccherà patirlo. Il cordoglio è stato immenso in ogni sede socio – politico – culturale. Figurarsi sugli organi di informazione scritta e per immagini. Parole, parole, parole, lunghe una settimana. Qualcosa di così straordinario in una decade che ha contato, in Italia, migliaia di “deceduti per COVID” – seppure fossero in prevalenza di tarda età – l’immensa angoscia per Diego, mi è parsa troppo … immensa. Ma forse ha ragione il signor Governatore ligure quando sostiene che gli anziani sono improduttivi e perciò un problema più che una risorsa. Pure la proposta di cambiare il nome allo stadio di Napoli, togliendo quello di un Santo, S. Paolo, per intitolarlo a Maradona, mi è sembrata eccessiva. Comunque, i tifosi del pibe de oro mi perdoneranno: se parliamo di “valori della civiltà moderna”, le carte in tavola si sparigliano.