Cristo non era ancora nato quando Gaio Sallustio Crispo scrisse la monografia storica De Catilinae coniuratione
di AMAR
Cristo non era ancora nato nella mangiatoia di Betlemme e il calendario moderno non aveva cominciato a contare gli anni, quando Gaio Sallustio Crispo scrisse la monografia storica De Catilinae coniuratione. Narra la congiura ordita, a Roma, dal senatore Lucio Sergio Catilina per rovesciare le Istituzioni repubblicane. Lo pose al centro della narrazione, descrivendolo così: “Lucio Catilina, di nobile stirpe, fu di ingegno vivace e di corpo vigoroso, ma di animo perverso e depravato”. E’ la figura emblematica della Roma precristiana e il punto di vista di Sallustio è proprio la decadenza morale e sociale dell’Urbe.
La guerra civile a Roma
Era terminata da poco la guerra civile (88 – 82 a. C.) tra gli optimates di Silla (forse laziali) contro i populares di Mario (forse romanisti). Un confronto particolarmente accanito che aveva lasciato morti e macerie politiche. Non esisteva lo stadio Olimpico, però la partita la vinsero i “bianco celesti” e Silla si fece dittatore. Ed anche criminale come primo inventore delle liste di proscrizione. Contenevano i nomi dei suoi avversari politici da eliminare fisicamente e impunemente, con lo scopo aggiunto di spartire i loro beni tra lo Stato e l’assassino. Vi fu, è ovvio, una corsa all’omicidio facile, mascherando faide familiari e controversie d’ogni tipo. Quando Silla ritenne l’ora di ritirarsi a vita privata, furono i generali a scendere in campo.
Questo è grossomodo l’antefatto della Congiura di Catilina. Di tale evento, fece il racconto dettagliato Sallustio. Presentò Catilina uomo di indole violenta e sadica. Si dice che fece inserire nelle liste di Silla il proprio fratello per liberarsi di lui. Si mise in testa di diventare Console e, all’inizio della “campagna elettorale” ebbe l’appoggio di Cesare e Crasso. I quali però, conosciuto meglio il soggetto, ritirarono il sostegno.
Catilina l’aspirante Console
Gli avevano impedito più volte di essere Console; allora Catilina pensò di raggiungere il potere politico, usando il potere della forza. E si mise ad organizzare la cospirazione. La carica era molto ambita. Polibio ci dice che “I Consoli esercitano l’autorità su tutti i pubblici affari e i funzionari. Gli alti magistrati, ad eccezione dei Tribuni della plebe, obbediscono ai loro ordini”.
Il clima del primo secolo a. C., a Roma, era turbolento e non fu difficile a Catilina trovare adepti alla sua causa. Pescare nel torbido gli veniva congeniale e quindi il progetto eversivo prese forma. Si trattava di sconvolgere la situazione istituzionale, togliere autorità al Senato e assumere su di se i pieni poteri. In molti videro nel progetto lo spazio per inserire i propri interessi.
Un altro romano illustre aspirava alla stessa prestigiosa poltrona di Console: Si chiamava Marco Tullio Cicerone, che gli storici hanno definito politico, filosofo, maestro di eloquenza; quindi un attore di primo piano nella rappresentazione dell’epica romana. Scrittore di talento, ha lasciato una vasta produzione letteraria. Di famiglia equestre (nobile) ha occupato un posto di rilievo nelle vicende del suo tempo. Venne a sapere, dall’amante di uno dei congiurati, del “colpo di Stato” ordito da Catilina e lo denunciò al Senato, pronunciando le quattro orazioni, le Catilinarie. Fu lui a domandare: Qousque tandem (fino a quando), Catilina abutere (abuserai) patientia nostra?
Le 4 catilinarie di Cicerone
A Palazzo Madama, c’è un grande affresco (formato metri 4 per 9) del pittore Cesare Maccari (1880) che ritrae il Senato di Roma, l’aula con i Senatori seduti nei loro scanni, Cicerone in piedi di fronte e, a destra, in fondo alla tribuna, da solo, il capo quasi prono, l’accusato Catilina. E’ la scena immaginata e simbolica delle catilinarie che fecero da requisitoria in quella sorta di Tribunale. Tutte vere le imputazioni? Forse, l’arte oratoria di Cicerone ci aggiunse alcuni effetti speciali. Fatto sta che il reprobo dovette fuggire da Roma. Però, non si dette per vinto. Anzi, richiamò alle armi i suoi seguaci e affrontò (era il 62 a. C.) le legioni romane. Prima dello scontro, alle truppe pare abbia pronunciato un discorso in termini di lealtà e coraggio. Cominciò dicendo: “Noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita.” Fu sconfitto e ucciso in battaglia, a Pistoia.
Peggiore sorte toccò a Cicerone. Simpatizzante dei tirannicidi di Giulio Cesare, incorse nella vendetta di Marco Antonio che decise di mandare i sicari ad assassinarlo nella villa di Formia. Marco Antonio fu il luogotenente del despota, quello al quale William Shakespeare fa dire: “Io sono venuto a seppellire Cesare, non a lodarlo”. Invece era li per aizzare il popolo contro Bruto e compagni. Marco Antonio che si fece per amante Cleopatra e fu sconfitto in mare da Ottaviano. Morto Cesare, sulla scena politica di Roma si affollarono una serie di “attori” votati a recitare ciascuno una parte di rilievo. L’affollamento accadde allora, è accaduto in altri secoli, rischia di accadere nei giorni correnti, dopo la scomparsa di un “santo subito”. A prescindere. E In attesa del primo miracolo.
Verona e l’Aida, Terni e la musica del bum, bum, bum
Pensiero impertinente. Verona è città di medie dimensioni, poco più grande di Terni. Entrambe di antico lignaggio, hanno il rango di Provincia. A Verona ci passa in mezzo l’Adige, a Terni il Nera. Loro, i veronesi, hanno dato i natali a Giulietta e Romeo, noi a Cornelio Tacito. Loro hanno, a portata di mano, il Lago di Garda, noi il Lago di Piediluco (la bomboniera!). Insomma, per taluni aspetti, Verona e Terni paiono città quasi sorelle. Una differenza, avrebbe detto il comico Carlo Croccolo, sta nel fatto che Verona “è de l’Italia setentrionale”.
Giovedì 16 giugno, mentre il primo canale della T V nazionale – in uno spettacolare sfarzo di luci e colori – mandava in onda, dall’Anfiteatro romano di Verona (l’Arena), l’immortale musica dell’Aida, nel nostro Anfiteatro, anch’esso orgogliosamente romano, strabordava la mortale (e mortifera) musica (?) del bum, bum, bum. Quattro ore di bum, bumbum, bum, bumbum, sino alle due di notte, senza stuccare filo. Decibel a gogò, ogni parsimonia rimossa e alcun limite spaziale. Per noi ternani – tra Aida e bum, bumbum – oltre il disturbo, una discrepanza culturale avvilente.