Le differenti valutazioni della giustizia del pallone (e nel pallone)
di Adriano Marinensi
Correva l’anno 1980, in Italia. Oserei chiamarlo, alla napoletana, un anno fetente, aggettivo che si merita per alcuni fatti di cronaca che divennero storia. Per esempio, il terremoto in Irpinia (23 novembre), morte e distruzione, a Bologna la strage terroristica della stazione (2 agosto), la sciagura dell’aereo caduto ad Ustica (27 giugno), l’assassinio di Piersanti Mattarella, fratello del Presidente, per mano della mafia, a Palermo (6 gennaio) e di Giovanni Bachelet, all’Università di Roma, ucciso dalla B. R. (12 febbraio). Il terrorismo rosso e nero fece vittime in molti settori, diffondendo panico sociale.
Per inciso, va segnalato che, in campo economico, l’inflazione, nel 1980, era arrivata al 23%. A chi aveva l’abitudine di passare al bar, la mattina prima del lavoro, il caffè 250 lire, per prendere il tram 200 lire, il giornale 300; il pane 850 al kg,, la benzina 850 al litro. Se ti dovevi sposare, la fede al dito costava 10.000 lire al grammo. Non si viveva una gioiosa esistenza, con la democrazia sotto attacco.
Un altro “terremoto”, di notevole scuotimento, investì il mondo del pallone, a causa del calcio scommesse. Lo possiamo considerare parente di primo grado di quello attuale. Il “simpatico giocattolo”, allora, come oggi, corse il rischio di rompersi, tanto gravi furono le accuse a carico di giocatori e dirigenti. Erano stati alterati i risultati di alcune partite al fine ignobile di far guadagnare i malandrini. Insomma, frode sportiva bella (anzi, brutta) e buona (anzi, cattiva).
Accadde che un tale, scommettitore colluso e incallito, al quale erano stati garantiti i risultati di alcune partite, aveva puntato somme rilevanti al totocalcio clandestino (chiamato totonero) e le aveva perse. Perché sul campo l’1 a 0 promesso s’era trasformato in 0 a 1 oppure il 2 a 2 in 2 a 0. Insomma, tutto sballato e le “dritte” rivelatesi storte. Quel tale, fruttarolo romano, si presentò, con una inaudita faccia tosta, in Procura e sporse, nientemeno, denuncia per truffa. Alla romana: Arivolemo i sordi! Il pallone preso a calci in maniera amorale e grottesca.
Qualche tempo dopo La Gazzetta dello Sport, al centro, in prima pagina, mise in ottima vista: 12 ARRESTI. Ebbene si, le camionette delle Forze dell’ordine erano entrate in campo e la bandiera della vergogna issata sul pennone di alcuni stadi. Manette e tristezza. Accadde il 23 marzo e, in diretta TV. All’Olimpico, 24° turno di Serie A, Roma – Perugia 4 a 0 (autorete di Dal Fiume, gol di Benetti, Pruzzo e Ancelotti), Paolo Rossi al centro dell’attacco perugino. Il telecronista Giampiero Galeazzi, chiese urgentemente la linea per annunciare la clamorosa notizia dei calciatori passati dal campo alla prigione.
Era iniziato il periodo sconvolgente che mise in crisi non solo il calcio giocato, ma anche quanto ruotava attorno e soprattutto il “rapporto d’amore” con un immenso esercito di tifosi e appassionati. Anche a seguito dei interventi molto rigorosi adottati dalla giustizia sportiva di allora. Ridimensionati a seguito della vittoria della nazionale azzurra al mondiale di Spagna nel 1982, grazie anche ai 6 gol del “perugino” Paolo Rossi.
Comunque giudizi difformi dagli altri, che, nei giorni correnti, sta prendendo l’attuale magistratura dello sport a danno degli sprovveduti “quattro gatti”, sorpresi con il sorcio in bocca. A prima vista, trattati con estrema misericordia. Il perdonismo, ultima moda italiana, con tanto di assegno mensile intatto. Decisione ragionevole però, in quanto gli squalificati, avendo molto tempo libero a disposizione, dovranno pure trascorrerlo nella maniera più gioviale possibile. D’altro canto, nei luoghi di lussuoso godimento, il costo della vita è incompatibile con la povertà.
Mi piace chiudere così: Ho riscontrato, sul tema in questione, una sintonia di pensiero con il collega giornalista Andrea Sorrentino de Il Messaggero. Ha scritto – ironicamente, s’intende: “Poveri ragazzi. Sono malati di ludopatia. Aiutiamoli. Tutti ad affrettarsi a spiegare che sono dei malati, non dei mariuoli. Il calcio ha scelto la strada dello sconto, anzi dell’indulgenza plenaria.” La conclusione: “Che tempi. Anche per queste mestizie, la Serie A è diventato il piccolo spettacolo che è. E non ci sono speranze che migliori”.
Sin qui, in estrema sintesi, l’opinione del collega. La sottoscrivo, aggiungendo che, nel nostro Paese, i “malati” sono aumentati a dismisura. Il timore è che – con tutti questi cagionevoli di salute a diverso titolo – la turbolenza del Servizio Sanitario Nazionale possa diventare estrema e finisca tutto a rotoli. Sarebbe un guaio soprattutto per i non mariuoli.
Aggiunta doverosa. Le cronache odierne ci informano che, a proposito di illeciti sportivi di notevole rilievo, una intricata narrazione, durata 17 anni, si è conclusa definitivamente. Si tratta del pasticciaccio brutto denominato calciopoli e iniziato nel 2006. Coinvolse una vasta selva oscura di società, dirigenti sociali, arbitri e faccendieri vari d’ogni ordine e grado. Con al centro il famoso Luciano Moggi. Finirono sotto la lente d’ingrandimento ben 19 partite chiacchierate ed, alla fine della fiera, piovvero provvedimenti punitivi sconvolgenti: retrocessioni, radiazioni, squalifiche, interdizioni. Un putiferio che mise in luce e alla berlina un “esercito” di tessitori di trame assai birbanti.
Seguì un iter contorto di ricorsi, di appelli in ogni sede disponibile che ha allungato all’infinito la storiaccia. Era rimasta in piedi soltanto l’opposizione della Juventus avverso la sentenza che l’aveva privata dello scudetto vinto nella stagione 2005 – 06 ed assegnato all’Inter. Ora anche quest’ultimo atto è stato ritirato e il sipario è sceso sulla vergognosa “commedia dei pupi” dove recitarono a soggetto i massimi esponenti del calcio nazionale. Un altro pessimo spettacolo, non solamente sportivo.