Partecipi della realizzazione sono stati due deliziosi giovani danzatori, Debora Renzi e Mattia Maiotti che operano insieme sotto la dizione di “Mad Collective
Secondo appuntamento con il percorso disposto da Leonardo Ramadori, Simone Frondini e Stefano Olevano: la musica e la arti, una vocazione alla integrazione e all’arricchimento di discipline connesse nella dimensione dello spettacolo.
Dopo il bel successo dei fiati con Bolo Rossini, ora il teatro della Sapienza è stato ancora una volta il contenitore giusto per accogliere il doppio spettacolo pomeridiano di ieri, una necessità avvertita per contenere il pubblico che affolla le proposte degli Amici della Musica in questi Family-concerto destinati ad accogliere grandi e piccoli nella fascinazione della musica.
Per questo secondo incontro era previsto un appuntamento con i prestigiosi Tetraktis impegnati in un rapporto con la danza, il corpo in movimento. Partecipi della realizzazione sono stati due deliziosi giovani danzatori, Debora Renzi e Mattia Maiotti che operano insieme sotto la dizione di “Mad Collective. Aiutati da una intelligente spiegazione dei due ragazzi gli ascoltatori si sono progressivamente addentrati in un percorso che li avrebbe portati, alla fine, a sperimentare sulla propria corporeità il piacere di stringersi le mani e muoversi insieme.
Presupposto di tutto il concerto è stata la assoluta competenza dei Tetraktis che in venti anni di attività hanno assunto una autorevolezza didascalica che li porta ad essere una vera agenzia culturale del far musica in maniera creativa.
Il dispiegamento dei loro strumenti, un caleidoscopio di legni e metalli che si sono negli anni progressivamente arricchiti sino a creare tipi di percussioni personalizzate per ieri pomeriggio si era ridotto al minimo. Hanno cominciato con la body-art, prima col battito delle mani, poi con versi emessi dalla bocca, una sconcertante polifonia senza suoni su cui Debora e Mattia mettevano i loro corpi in partitura figurata, un rotolare di fisicità trattenuta dalla assoluta competenza tecnica, ma desiderosa di espandersi oltre i limiti del piccolo palcoscenico. Nel frattempo le voci dei due protagonisti enunciavano i temi del percorso storico che stavano compiendo. D’altra parte si sa che le tappe del progressivo impadronirsi del proprio corpo ha portato l’uomo sempre ai limiti della religiosità, dai Veda, alla Danza dell’Arca dell’Alleanza, alle “mistiche carole” dantesche, per non parlare degli antropologi della musica come Leo Spitzer, Marius Schneider o Jules Combarieu che si sono spinti agli enunciati della “danza cosmica”. Troppa roba per la nostra serata che ha invocato l’avvento del “minimalismo” come data di inizio delle esposizioni che avremmo seguito, proponendo proprio questo rapporto iniziale tra il corpo-risuonante e il moto fisico.
Ecco quindi i ragazzi di Tetraktis impugnare dei semplici tubi di gomma che però di suono ne fanno tanto. Poi è la volta dei legni che suonano con un fragore da battaglia, mentre Debora a Mattia evocano i nomi sacri della danza moderna. Pina Bausch, e il suo Tanztheater, con il rapporto tra fragilità e forza, in una proporzione che pone l’uomo in dialettica con la società. Indi Carolin Carlson e il suo apporto spirituale e poetico con la innata libertà di espressione e di forza. Poi lo sprofondar nella casualità con l’americano Cunnigan il sodale e compagno di John Cage, il creatore della indeterminatezza. Difficile immagina qualcosa di più sconcertante di una partitura musicale e una coreografia che si creano in maniera indipendente e si trovano insieme soltanto nel momento del palcoscenico. L’utilizza della materia visiva e sonora avviene solo con il coordinamento del ritmo che, quando si trova crea la comunicazione, fa comunicazione, quando non si incrocia degenera nell’entropia.
Infine, come dicevamo, il momento della fisicità esperimentata in prima persona, con gli spettatori che vengono invitati a tenersi per mano e a muoversi in sincronia mentre i Tetraktis si pongono davanti a una tastiera di vibrafono come a un tavolo operatorio. Sono dieci minuti di eccezionale leggerezza che qualificano ancora una volta una proposta perfettamente centrata. Ringraziamo i giovani percussionisti che, nel corso degli anni, non sono rimasti gli stessi, ma hanno soltanto saputo evolversi con intelligenza. Li abbiamo seguiti sin dai loro primi passi e ne abbiamo sempre apprezzato la capacità di crescere e misurarsi con la modernità.
Stefano Ragni