Dottor Alessandro Zucchi (*)
Una diagnosi di tumore della vescica può essere un evento che cambia la vita del singolo paziente, ma anche della coppia, comprendendo tutti gli aspetti psicologici, sessuali, sociali, sanitari e finanziari, che i pazienti affrontano dal momento della prima diagnosi in poi.
Le cure chirurgiche e mediche espongono i pazienti a problemi fisici (alterazione dell’immagine corporea, dolore, etc.) ma anche a problemi emozionali quali stress, ansia, depressione.
Negli ultimi decenni la ricerca è stata sicuramente rivolta alla risoluzione del problema oncologico ma anche al miglioramento della qualità di vita del paziente, curandone, in particolar modo, l’aspetto sessuale. In caso di tumore vescicale la chirurgia è un’opzione terapeutica standardizzata e l’operatore può decidere di asportare il tumore attuando uno dei seguenti tipi d’intervento, in base all’aggressività e all’estensione della malattia:
– Resezione endoscopica transuretrale: introducendo il cistoscopio in vescica attraverso l’uretra si utilizza un particolare strumento che consente di asportare il tumore; tale metodica viene utilizzata comunemente per gestire neoplasie ben localizzate e meno aggressive e non comporta danni estetici o funzionali a livello corporeo.
– Cistectomia radicale: è l’intervento di asportazione totale della vescica nei casi in cui la malattia è più aggressiva ed estesa; nell’uomo, generalmente, si asportano anche la prostata e le vescicole seminali (ghiandole che secernono il liquido seminale). In questo caso è necessario ricorrere ad una derivazione urinaria ossia alla creazione di un passaggio alternativo per l’urina una volta che la vescica è stata rimossa; ad esempio, utilizzando una porzione d’intestino, si può confezionare una “stomia” ossia un’apertura nella parete addominale (stoma) attraverso cui far defluire l’urina, oppure creare una nuova “sacca” di raccolta dell’urina all’interno del corpo (neovescica).
Nel primo caso, l’urina si raccoglie in un apposito sacchetto che viene fatto aderire alla cute con una particolare placca e della speciale colla adesiva.
Nel secondo caso, si utilizza una porzione dell’intestino per creare una “sacca” di raccolta dell’urina, che è collegata all’uretra nativa, se questa non è stata rimossa durante l’intervento stesso; in questo modo l’urina può essere eliminata attraverso l’uretra, ristabilendo cioè una integrità corporea anatomica e funzionale.
Ma riguardo l’aspetto sessuale?
È cosa ben nota che l’asportazione della vescica provoca impotenza sessuale in oltre il 90% dei casi a causa del danneggiamento delle fibre nervose deputate all’erezione e dell’alterazione dei complessi meccanismi fisiologici vascolari ad essa preposti. Nella maggior parte dei casi, inoltre, concomita la presenza di uno stoma cutaneo (uno o più sacchetti a livello dell’addome) che può creare notevoli difficoltà psicologiche durante l’approccio sessuale con la propria partner. Come già precedentemente accennato, in casi selezionati, dove l’età e le condizioni locali della malattia neoplastica lo consentono, è possibile ricostruire completamente una nuova vescica (neovescica) utilizzando l’intestino, ristabilendo in tal modo un’integrità fisica e facendo urinare il paziente per vie naturali.
Purtroppo, durante la fase demolitiva in cui viene asportata la vescica la prostata e le vescicole seminali, le fibre nervose preposte all’erezione vengono comunque danneggiate provocando impotenza. A tal proposito, esiste oggi la possibilità di preservare tali fibre nervose deputate all’erezione mediante apposite tecniche che vengono eseguite solo in alcuni centri italiani altamente specializzati; esse prevedono, infatti, la preservazione di alcune parti anatomiche quali vescicole seminali e parte esterna della prostata, che sono immediatamente al di sotto della vescica e che sono strettamente adiacenti alle strutture nervose descritte. Tali tecniche definite con il termine “sex sparing” (ossia con risparmio dell’attività sessuale) favoriscono la ripresa spontanea delle erezioni contestualmente ad una più rapida ripresa della continenza. Ovviamente, tale tipo di intervento deve essere proposto a soggetti giovani e con una buona aspettativa di vita, con regolare attività sessuale e fortemente motivati dal momento che la restituzione di una integrità fisica e sessuale va a discapito di un maggior rischio oncologico, in quanto il paziente è più esposto ad un rischio di recidività neoplastica. Ciò è dovuto al fatto che la metodica prevede obbligatoriamente un risparmio di tessuto uretrale e prostatico il quale può essere facilmente soggetto a ripresa della neoplasia; il paziente dovrà, quindi, sottoporsi ad un maggior numero di accertamenti clinico-diagnostici nel periodo successivo all’intervento chirurgico rispetto ad un paziente standard. Nei soggetti in cui tale metodica non è eseguibile la ripresa dell’attività sessuale può essere, comunque, ristabilita mediante due tipologie di trattamento: farmacologico e chirurgico.
Nel primo caso, esiste la possibilità di somministrare farmaci ad azione locale come le Prostaglandine che vengono immesse all’interno del pene mediante una piccola iniezione o per via intra-uretrale.
L’azione del farmaco, dopo alcuni minuti, facilita l’ingresso di un’elevata quantità di sangue all’interno dei corpi cavernosi del pene favorendo quindi l’erezione ed il rapporto sessuale (l’azione della prostaglandina dura alcune ore in base al dosaggio e alla responsività singola di ogni paziente).
In secondo luogo è possibile ricorrere alla Chirurgia Andrologica impiantando all’interno del pene delle apposite Protesi Peniene. Si tratta di particolari dispositivi, con meccanismo idraulico, costituiti da tre componenti: due cilindri che si gonfiano all’interno del pene, una pompetta per l’attivazione che viene posizionata all’interno dello scroto (tra i due testicoli) ed un serbatoio contenente liquido che viene posizionato all’interno della pancia. Il paziente, al momento dell’atto sessuale, gonfia i due cilindri all’interno del pene mediante la pompetta (facilmente gestibile nello scroto) e poi li sgonfia, alla fine del rapporto sessuale, utilizzando un apposito pulsante presente sopra la pompetta. Medico e paziente valuteranno di volta in volta rischi e benefici: i rischi sono prevalentemente legati alla protesi stessa, che può essere soggetta ad infezioni, ma che può anche erodere e perforare i corpi cavernosi del pene o semplicemente non essere tollerata dall’organismo e quindi rigettata; i vantaggi di tale metodica sono rappresentati dal fatto che la protesi non è assolutamente visibile all’esterno e che l’atteggiamento del pene in condizioni di base o in erezione è del tutto normale. In conclusione la paura del tumore e l’incertezza della sua evoluzione, la concomitante necessità di trattamenti integrati quali chemioterapia e radioterapia, la difficoltà nella gestione della derivazione urinaria (stomia) creano notevoli difficoltà di tipo relazionale, e più specificamente sessuale, al paziente affetto da neoplasia vescicale. Tuttavia, oggigiorno, sono molteplici e sicure le strategie terapeutiche disponibili in grado di garantire una normale vita sessuale a tali pazienti, aiutandoli ad affrontare quotidianamente, in modo più sereno e razionale, la malattia.
(*) Clinica Urologica, Università di Perugia