di Adriano Marinensi – Però che buffe le opere buffe di Terni! Quelle dei cartelli con su scritto perennemente “stiamo lavorando per voi”.
Di questo tipo un po’ bizzarro ce ne sono un corposo elenco che ho già scritto e non ho voglia di ripeterlo. Anche se, a volte, mi sento costretto a dare periodica (e costruttiva) testimonianza dell’insipienza provincialotta delle stanze dove si trovano i bottoni (che non è una merceria). Lavori dunque di lungo corso come certi longevi lupi di mare. Con una differenza non marginale tra Terni e altrove. Ad onor del vero, in Italia, ce ne sono molti addirittura quasi terminati poi abbandonati. Ma queste sono scelleratezze d’altro tipo e maggiore vergogna. L’esempio del quale vorrei far cenno riguarda due titoli letti, lo stesso giorno, su un organo di carta nazionale con cronaca locale. Uno annuncia : “Aperta la Variante di Valico”, l’altro : “La Fondazione CARIT scarica il Verdi”. Scarica sta per lo esclude dalle sue priorità di contributo. Per notizia va specificato che la Variante di Valico è un lungo tratto di viabilità, tra le province di Bologna e Firenze, costruito ex novo, per fluidificare il traffico sull’ A Il Verdi è invece un teatro, già esistente, a Terni, ed in attesa di semplice ristrutturazione. Non è una variante, ma una “costante” di estrema utilità per una città che di strutture di tal genere e dimensione ne ha poche o punto, malgrado l’utenza ne meriterebbe più d’una. Più d’un teatro ha Perugia, più d’uno Spoleto ed altri centri umbri di minore dimensione urbanistica e demografica. Quello che fa un po’ difetto, a Terni, forse è la tradizione teatrale, compressa com’è stata in passato dalla “cultura siderurgica” e dal pensiero unico di sinistra memoria (che faceva passare le Feste dell’Unità per manifestazioni rurali).
Dunque, lungo quel tratto di Autostrada del Sole c’erano degli intoppi alla circolazione ch’era necessario eliminare. Quindi ci si è messi di buzzo buono per costruire una nuova arteria e spostare su di essa parte dei volumi di traffico. E in 11 anni era bella e fatta. Un’opera di fronte alla quale la ristrutturazione del Teatro Verdi diventa – direbbe Totò – una quisquilia, una pinzillacchera. Dalle nostre parti meniamo vanto per il record quantomeno europeo del quale è gloriosa la “cinquantenne” Terni – Rieti, ancora incompleta, seguita a ruota dal Tulipano di Ponte le Cave che corre da diversi decenni e non si sa ancora quando arriverà al traguardo. Ora, se ci impegniamo in modo serio, un buon terzo posto lo conseguirà di sicuro l’unico luogo di spettacolo avente dignità culturale della città (per gli spettacoli pallonari gli impianti ce ne sono alquanti).Undici anni per costruire la Variante in questione, sei anni per neppure mettere mano al Teatro Verdi. In verità, per nascondere la vergogna esistente all’interno, gli abbiamo rifatto la facciata, aggiungendo così alla vicenda un tocco di ridicolo. Cofinanziatrice dell’opera di ripristino è la Fondazione CARIT, la quale, giorni fa, per bocca (autorevole) del Presidente ha fatto capire (ovviamente a chi ha cervello per capire) di non più considerare l’intervento tra quelli di prima fascia. E’ chiaro il motivo : si sono stufati di aspettare l’esito del fantomatico “bando per un concorso internazionale di idee”. Che poi sarebbe uno di quei classici escamotage (al pare degli “atti di indirizzo” inventati dal Consiglio comunale di Terni) utilizzati per accantonare i problemi e metterli a stagionare. Dicono che il Presidente, nel ribadire l’interesse della Fondazione alla rimessa in funzione del Teatro Verdi, abbia aggiunto : “Non si sa ancora come vogliono farlo, quanto costa farlo, e nemmeno quanto costerebbe gestirlo una volta fatto”. Capita l’antifona ?
Della Variante di valico, sappiamo tutto: la lunghezza (km.32), la complessità dell’opera (41 gallerie e altrettanti viadotti), il costo (4,1 miliardi di euro). E sappiamo che, in appena 11 anni, è stata completata. E’ vero che per la rimessa in pristino del Verdi sono trascorsi solo sei anni, però lì siamo ancora a “carissimo amico” (la lettera dobbiamo ancora cominciare a scriverla). Intanto, un isolato più in là, ci sta – ancora incartata – la Fontana dello Zodiaco, primario simbolo di operosità della Città dell’Acciaio e delle acque. Pure lei, da tempo, è in paziente aspettativa di rimessa in funzione. Se lo guadagnerà il suo longevo primato di lavoro di lungo corso ? Al botteghino della sciatteria si accettano scommesse.