Ieri, ancora nel medio pomeriggio di ieri le mura del borgo musicale di Solomeo riverberavano il calore della giornata. Oltretutto neanche un filo di vento, cosa che consentiva alle rondini di sfrecciare come pazze in prossimità dei tetti. Sarà uno zirlio, il loro canto, ma quando sono in gruppo e piombano in basso velocissime non c’è antagonismo sonoro che tenga.
Intanto il pubblico continuava a sciamare per le antiche viuzze. Ci si soffermava dove porta la musica. All’ombra del campanile si era piazzato un trio femminile, formato da Sara Cresta, Fabiola Battaglini e Maria Letizia Beneduce. Suonano di tutto, dalla fisarmonica al violino, al contrabbasso e cantano un repertorio “d’antan”, che spazia da Bixio a Danzi, a Totò di Malafemmena.
Le baipassiamo per tentare di entrare nella chiesa di san Bartolomeo, ma stavolta ci va male, perché ci hanno già pensato in tanti. In piedi, lottando per un pertugio cominciamo ad ascoltare uno stupendo duo formato da strumenti a pizzico: e infatti Anna Schivazappa e Fabio Antonio Falcone si chiamano “Pizzicar galante”. Lei, una bionda slanciata, suona il mandolino barocco. Anzi, due mandolini, visto che annovera due strumenti di pregio di fattura, uno lombardo e uno napoletano, appoggiandosi alle armonie di un ben forbito clavicembalo. I due danno vita a una deliziosa rassegna di pezzi di rarissimo ascolto, dallo Scarlatti del K91 al Valentini dell’op. 12 n.1. Falcone poi, si stacca dalla compagna per salire sull’Adamo Rossi, anche lui grande protagonista del Festival Cucinelli, per suonare un paio di pezzi di Zipoli. Considerando che il tema che si sono dati la Fondazione Federica e Brunello Cucinelli era l’Argentina, il ricordo del pistoiese che andò a morire in quel lontano paese non per emulare Robert de Niro, ma per farsi missionario gesuita è dei più pertinenti. Gli andò male perché la sospirata investitura a milite della Compagnia arrivò dopo la sua morte. Ci lasciamo con la Sonata RV 32 di Vivaldi, persuasi della grande scuola della brillante virtuosa patavina e seguiamo lo sciame dei visitatori, che si attarda nel Giardino degli ulivi a carpire ancora qualche scheggia del Trio Capinere. Dopo un dolcissimo “Non ti scordar” di me, ecco il Bixio delle Capinere, il tango da cui ricava in suo nome il complesso. Musica dei nostri nonni, ma a suo tempo era una provocazione perché cantava di prostitute da strade, le Capinere, appunto, ma, per prudenza verso il fascismo, le collocava nella remota e inaccessibile Arizona.
Ci accodiamo ai molti, alcuni già con i calici di bianco in mano, che si assiepano nella corte del castello. Qui si schiera in pedana un trio di chitarre che si fregia del nome del compositore José Cardoso. Lo compongono Massimiliano de Foglio, Alessandro Giancola e Guido Ottombrino. Suonano di tutto, da Vivaldi, alla musica di Barrios, alla tradizione Kletzmer. Al centro del programma le canzoni del popolo Basco: don Luigi Giussani se ne interessò a suo tempo, definendone la “inesorabile umanità religiosamente attestata”. Chiudono con Gloria dalla Missa Criolla di Ramirez, ritmi di danza dell’America precolombiana e messaggio della fede cristiana: prima del Concilio Vaticano Secondo uno scandalo. E anche dopo.
Non resta che aspettare le ombre della sera per assieparsi nell’Arena. Un impeccabile servizio d’ordine fa fluire gli ascoltatori senza il minimo intoppo. E finalmente si accendono le luci per Ute Lemper. Eravamo tutti lì per questo, per rivivere con questa stangona che sfodera gambe statuarie la storia di Marléne Dietrich. Lei lo fa con uno spettacolo di un’ora e mezzo, cantando e recitando tanti titoli, da Hollaender a Cole Porter, Prevert, Jacques Brel, Trenet e il “Just a gigolò” di Leonello Casucci.
Accompagnata da una formazione formidabile, dal pianoforte di Vana Gierig al violino di Cyril Garac, al contrabbasso di Romain Lecuyer, alla batteria da Matthias Daneck, Ute spazia in maniera regale dalla memorialistica, all’aneddotica, al ricordo personale, alla confessione intima di una donna che si misura con un’icona dello spettacolo mondiale, superandola in attualità, in regressione sentimentale, in scavo ancestrale nella solitudine propria di una grande artista.
Voce regina, amplificata in maniera magistrale, capace di scenderti nel cuore con registri molteplici. Anche lei, Ute, ormai consacrata a grande interprete del nuovo millennio.
Stefano Ragni