Di Francesco Castellini – Ci sono mostre che fanno pensare più ad un'avventura in autobus che ad una corsa in taxi. Da non lasciarsi sfuggire davvero questa straordinaria esperienza collettiva, una specie di tunnel delle emozioni visitabile fino al 20 luglio, pensato per carezzare gli occhi e l'anima del visitatore e che vede la mistica sala dell'Ipso Art Gallery di via Bonazzi donare all'insieme qualcosa in più, un che di speciale, con quel suo farsi prezioso contenitore di fantasie varie, ovvero divenire scrigno di luci, note e riflessi diversi.
Si entra e ci si ritrova così proiettati in un'altra dimensione, avvolti da un mix di sensazioni forti, che hanno tutte il potere di ipnotizzare e incantare, ma anche di scuotere, far riflettere, come solo può fare una sinfonia, complicata, apparentemente bizzarra e allo stesso tempo magicamente perfetta.
Ci si guarda intorno e tutto sembra mantenere in sé una propria armonia, una sacralità, di quelle che impongono circospezione, rispetto, e non a caso d'istinto ci si ritrova ad abbassare il tono della voce. Del resto quel “Silence”, che è il nome dato alla collettiva, che ha messo insieme otto sguardi pensanti, non è nato a caso, tutte le opere sono frutto di tocchi sagaci, figli di un impasto bizzarro e originale, che amalgama razionalità e spiritualità, e tutti hanno il potere di spingere verso un anelito divino.
Prosegue così il cammino del gruppo ArtPerugia. Stefano Chiacchella, Pietro Crocchioni, Ferruccio Ramadori, Patrizio Roila, Francesco Marchetti, Cristiana Staffolani, Raffaele Tarpani e Mauro Tippolotti, sono loro gli 8 cavalieri di una tavola rotonda che alla follia dell'egocentrismo spinto hanno voluto fin dal 2015 contrapporre un esempio di dialogo, di confronto, di vicinanza contaminante.
E dunque si capisce che ogni quadro, ogni disegno, ogni colore, è espressione di una coscienza indomita, tipica di chi ha voglia di andare oltre, di oltrepassare l'apparenza, la superficie, per puntare a guardare con i propri occhi la vita, e per poi raccontare e condividere attimi di verità agguantata, a volte precariamente raggiunta.
E non a caso tutti quei lavori sono legati dal filo invisibile della musica, che a ben vedere fa da colonna sonora ad ogni azione, ad ogni movimento, ad ogni gioiosa scoperta.
Note di uno scrittura intellegibile, che a tutti appartiene, e che ha bisogno, per essere percepita ed esaltata, di essere per un attimo “fermata”.
E si apprezzano così le sinuosità dei saxofoni, i chiaroscuri di una tastiera di piano che richiama all'esperanto, o quel passepartout di chiave di violino che ricorda che ogni spartito racchiude in sé leggi universali, ma anche il pericolo dell'omologazione, soprattutto quando non si trova più la forza e il coraggio di continuare a leggere la propria storia e la propria unicità fra le righe.