Restano in carcere i principali componenti delle cosche calabresi legati alla ’Ndrangheta. Lo hanno deciso i giudici del Riesame, che hanno rigettato i vari ricorsi presentati dalle persone finite in manette lo scorso dicembre in seguito all’inchiesta della criminalità organizzata sulla presenza della cosca mafiosa calabrese a Perugia.
La notizia è riportata dal Messaggero Umbria di oggi.
Misure confermate anche per i laziali che operano nel territorio umbro.
Le cosche della ‘Ndrangheta hanno messo le mani sull’Umbria, infiltrando “in modo significativo” il sistema economico della regione. E’ quanto era palesemente emerso da un’indagine della polizia, durata diversi mesi, che ha portato il 12 dicembre scorso all’operazione “Infectio”, con decine di arresti e sequestri per vari milioni sia in Calabria che in Umbria.
L’inchiesta dello Sco della Polizia con le squadre mobili di Perugia, Catanzaro e Reggio Calabria, coordinate dalle Dda di Catanzaro e Reggio, riguarda diversi presunti appartenenti alle cosche Trapasso, Mannolo e Zofreo di San Leonardo di Cutro e i Commisso di Siderno. Dagli accertamenti e dalle intercettazioni emerse che le famiglie di ‘ndrangheta non solo continuavano ad operare nei territori storicamente controllati ma erano riuscite a infiltrarsi anche nella nostra regione.
Il sodalizio criminale aveva inquinato il tessuto economico attraverso la predisposizione di società, spesso intestate a prestanome o soggetti inesistenti, in grado di offrire prodotti illeciti (in primis fatture per operazione inesistenti) a favore di compiacenti imprenditori. Contestualmente alla esecuzione delle misure cautelari personali, si diede luogo anche al sequestro di numerose società aventi sede in Umbria, Lazio e Lombardia attraverso le quali l´organizzazione criminale realizzava i citati reati economico finanziari.
Le indagini hanno consentito di accertare la perdurante attività del sodalizio e sono state avviate a partite dal 2015, allorquando il leader, dopo un lungo periodo di detenzione, si stabilì a Perugia, località “Casa del Diavolo”, per scontare la misura della detenzione domiciliare, che gli permise di riallacciare i contatti con altri esponenti di spicco della cosca.