A proposito di un programma di concerti a Terni
di Adriano Marinensi
Ho fatto, giorni addietro, un moderato e modesto rilievo al Sindaco di Terni, per il disagio provocato, in mezza città, da un programma di concerti e di un mare di note allo sbaraglio. Al limite del disturbo notturno alla quiete pubblica. Quella musica del bum, bum, bum mi è parsa – ma, io non sono un intenditore – musica non musica e la sua proposizione, cultura non cultura. E’ un problema, quello dei rumori (le fabbriche, il traffico con i suoi motori a scoppio, le attività umane, la movida ecc. ecc.) che, a Terni, ci pesa addosso da tempo remoto. Di sicuro da una ventina di anni fa quando scrissi (settembre 2003) la nota seguente che conserva la sua validità.
Si disse venti anni fa e si può dire ancora
La riassumo brevemente. Pone in avvio una domanda: La musica è il nettare dell’anima? Risposta: Non sempre. Certamente no, quando si è costretti a subire il frastuono che fanno talune esibizioni all’aperto dove è costume suonare a squarciagola, a beneficio dei pochi astanti e a maleficio dei tanti distanti che, a notte fonda, vorrebbero dormire. Fate conto, gli anziani e i malati oppure i pendolari che, alla buon’ora, debbono alzarsi per prendere il treno oppure quelli del “turno delle sei” all’Acciaieria.
Buon senso vorrebbe, per l’altrui rispetto, che gli autorizzatori (e pure gli organizzatori) di siffatte manifestazioni ponessero limiti al livello sonoro e all’orario, cosicché l’inquinamento acustico prodotto finisse, quasi tutto, a carico degli spettatori. E’ anche una questione di stile amministrativo. Senza mai dimenticare la normativa vigente. Tenendo conto che pure i canti e i suoni melodiosi, se proposti a decibel liberi, finiscono per diventare rumore.
La conclusione di quella mia breve nota remota fu: anche senza bisogno di adire le vie legali per autotutela, credo che rientri nei limiti della comune educazione civica, evitare che si faccia un diavolio inutile, tale da stravolgere le (sane) abitudini di tanti cittadini. E chissà che, la musica, suonata con minore violenza, non torni ad essere il nettare dell’anima. Ci vuole poco: Basta abbassare i toni, come s’usa dire in politichese.
L’inquinamento ternano non rompe soltanto i padiglioni auricolari. C’è pur quello che non si sente e non si vede cioè l’atmosferico. Un problema che richiederebbe provvedimenti di riduzione efficaci ed urgenti. Invece, l’interessamento dei chi di dovere rimane pressoché latitante. Dal punto di vista dell’informazione e dell’interesse collettivo, ha un andamento carsico: Appare (raramente) e scompare (a lungo), ragion per cui il pericoloso inconveniente resta tal quale. Le centraline di rilevamento continuano a suonare l’allarme, ma a loro nessuno da ascolto.
L’eterna incompiuta
Se avessi messo da parte tutto l’inchiostro che ho usato per scrivere sull’argomento Superstrada Rieti – Terni – Civitavecchia, per contenerlo non mi sarebbe bastato un barile assai capiente. Si tratta di una arteria, in qualche parte (nel tratto umbro – sabino) pure un po’asfittica, concepita una sessantina di anni orsono e, ad oggi, ancora in attesa di completamento. Allo stato dell’arte, scarsamente utilizzata per raggiungere il Tirreno, a causa della strozzatura di Monteromano. Sul tema, è tornato, di recente l’Assessore regionale Melasecche per annunziare l’ennesimo passetto avanti che dovrebbe portarci verso la connessione con l’Aurelia. La messa in esercizio della minuscola tratta, consentirà anche il taglio del centesimo nastro inaugurale. Siamo andati avanti, nel lungo passato, a stracci e bocconi, tra una giuliva inaugurazione e l’altra.
Cantava una antica canzone: C’è una strada chiamata destino che porta in collina. Il destino della trasversale nostra non porta ancora al capolinea. Ne soffre l’intero sistema economico, industriale e turistico umbro – sabino che, diosilolosà, quanto ha bisogno di infrastrutture viarie per svincolarsi dal piccolo e medio cabotaggio. Ora, veniamo a sapere che per ultimare la strada siamo sulla buona strada. La prossima primavera si dovrebbe aprire il cantiere relativo al primo stralcio dell’ultimo progetto. Speriamo bene, però con ampio beneficio d’inventario, in quanto di primavere ne sono già trascorse una caterva. Ragion per cui l’auspicio è meno inaugurazioni e più asfalto. In modo che la vicissitudine – così l’Assessore – di ciò che non funziona in Italia, possa esaurire la sua narrazione. Finendo di raccontare la favola del cammina, cammina, cammina.