Le scoperte scientifiche di giovani ricercatori della Società Italiana di Diabetologia, sono state comunicate nel corso del Congresso dell’Associazione Europea per gli studi del diabete (EASD) che si è svolto a Monaco di Baviera.
Per quanto riguarda la prima scoperta si tratta di un “termometro” per individuare i soggetti con diabete di tipo 1 più esposti al rischio di complicanze micro e macro-vascolari e per la seconda scoperta si tratta di un enzima che protegge dalla comparsa della steatosi epatica (fegato grasso) e dalle disfunzioni metaboliche correlate all'obesià. Il “termometro” – suggeriscono i ricercatori- serve a 'dosare' meglio la forza degli interventi correttivi e anche utilizzare argomenti pù convincenti per motivarli a modificare fattori di rischio e stile di vita. Il team italiano ha messo a punto un modello di predizione del rischio cardiovascolare (il “termometro”) basato su parametri semplici quali età, emoglobina glicata, albuminuria, livelli di colesterolo HDL e circonferenza alla vita. Con questi semplici elementi è possibile definire per ciascun individuo un livello di rischio: basso, intermedio o elevato. Il tutto allo scopo di ridurre sempre più il gap di aspettativa di vita rispetto alla popolazione non diabetica. Questo perché – viene affermato. l'aspettativa di vita delle persone con diabete mellito di tipo 1 rispetto alla popolazione non diabetica è andata progressivamente migliorando. Tuttavia, due studi pubblicati quest'anno su 'Diabetologia', rivista ufficiale dell'EASD, indicano che l'aspettativa di vita dei pazienti con diabete mellito tipo 1 risulta ancora oggi inferiore di 10-12 anni rispetto a quella della popolazione generale, nonostante i progressi della terapia insulinica e dei sistemi di controllo della glicemia. Disporre di strumenti capaci di predire il rischio di eventi vascolari e quindi di mortalià nei pazienti con diabete tipo 1 potrebbe rendere piu' efficaci le misure preventive e ridurre il peso delle complicanze della malattia.
La seconda scoperta riguarda un enzima che protegge dalla comparsa della steatosi epatica (fegato grasso) e dalle disfunzioni metaboliche correlate all'obesiTà. Queste nuove conoscenze potrebbero portare allo sviluppo di nuove terapie mirate contro lo stress ossidativo e la statosi epatica, comuni nei soggetti con diabete e obesità. L'enzima in questione è la perossiredossina 6 (PRDX6), che svolge una funzione anti-ossidante nell'aterosclerosi e diabete mellito di tipo 2. Poiché obesita', diabete di tipo 2 e fegato grasso sono condizioni caratterizzate da un'eccessiva produzione di radicali liberi,l'azione della PRDX6 potrebbe essere sfruttata come terapia per diminuire lo stress ossidativo e la steatosi epatica. La sperimentazione e' stata condotta su topi. “Questi studi condotti su modelli animali – ha detto il presidente della Sid, Giorgio Sesti – aggiungono nuovi potenziali target terapeutici nello scenario della patogenesi del diabete tipo 2”.