«Le fabbriche sono la prima cosa che deve riaprire. Non certo le librerie, con tutto il rispetto. E lo dico da grande appassionato di lettura. Se vanno fatte delle scelte la prima cosa sono le aziende. Accadde anche nel Dopoguerra: prima vennero ricostruite le fabbriche, poi le case. E qui è la stessa cosa»
Il presidente di Confindustria Umbria, Antonio Alunni, parte da qui per affrontare la fase due dell’emergenza sanitaria.
Il suo auspicio è quello di far ripartire tutto subito. «Perché la sicurezza può convivere col lavoro e la ripartenza è compatibile con le minori criticità da affrontare qui rispetto al resto del Paese. A patto di essere rapidi e determinati».
Questa è l’intervista rilasciata a la Nazione Umbria.
Presidente, la governatrice Tesei ha detto che l’Umbria può essere una delle prime regioni a ripartire visto che i dati sono migliori rispetto alle realtà del Nord. Che ne pensa?
«Ha ragione. E’ un vantaggio che dobbiamo mettere a frutto. Non si può paragonare Perugia a Milano. Bisogna usare il buon senso, non esiste una soluzione unica per tutti e per tutto. L’Umbria ha tutte le condizioni per essere avanguardia nella ripresa delle attività economiche nel rispetto assoluto della sicurezza dei lavoratori. Si può fare e va fatto».
Ma davvero potrebbero riaprire anche altre attività oltre a quelle definite essenziali?
«Certo. La riapertura va fatta in condizioni di massima sicurezza per dipendenti delle aziende, la salute con l’economia non si scambia. Ma per noi queste condizioni già ci sono».
E sempre Tesei ha annunciato un progetto ad hoc per l’Umbria.
«Ben venga il confronto con istituzioni e categorie tutte, bisogna lavorare magari per poter riaprire anche prima del 3 maggio. Non vorremmo arrivare a quella data e ritrovarci con un altro rinnovo delle chiusure. E il tema ancor più che territoriale è della singola azienda: quando ci sono le condizioni affinché possa riaprire, deve poterlo fare. Tanto più in Umbria dove il contagio è inferiore rispetto ad altre regioni».
Eppure il Governo da oggi ha previsto riaperture di attività che non convincono tutti.
«La questione delle aziende con codici Ateco va superata, lo ripeto. Al di là dei beni e servizi essenziali, che in un primo momento erano necessari, ora il nodo è se nelle imprese, al di là che siano strategiche o meno, sia possibile lavorare in condizioni di sicurezza. Se si, vanno fatta lavorare. Subito. Prima del 3 maggio. Se è no, non c’è codice Ateco e bene essenziale che tenga».
Dica la verità, vede davvero una luce in fondo al tunnel?
«Sono ottimista per una ragione: anche nel dibattito nazionale sta prendendo corpo con forza il tema di come ripartire. Non possiamo pensare di continuare a rimandare qualcosa che altri Paesi stanno già facendo, arrivare secondi, terzi o, peggio ancora, ultimi, sarebbe letale per la nostra economia. Guardiamo alla Germania: gli stabilimenti pur con le limitazioni del caso, sono tutti operativi. L’assistenzialismo non può durare per sempre».