Di Adriano Marinensi – Un organismo che boccia, non è necessariamente una “bocciofila”. Può essere anche la Fondazione di una banca. Nella fattispecie, della Cassa di Risparmio di Terni, intenta, nelle ultime settimane, in un tribolato rinnovo delle cariche di vertice.
Poltrone che contano e quindi di massimo appetito, che hanno attivato una serie di stridenti contrasti. Come quello tra l’Istituto bancario e il Comune. Contrasto che ha avuto il massimo splendore nel respingimento dei candidati del Sindaco (tre su quattro).
Proprio al Sindaco erano entrate nelle scarpe alcune “breccole” – per dirla alla ternana. Lui le scarpe se l’è tolte e i sassolini li ha gettati via, da Palazzo Spada, sulla “facciata” di Palazzo Montani. Innanzitutto, giudicando così la bocciatura: “Avere respinto le designazioni con un atteggiamento miope e burocratico (sic!), non ha dato uno schiaffo al Sindaco, ma alla città, alle sue esigenze ed alle sue speranze”. Dunque, schiaffo ricevuto e sonoramente restituito.
Di Girolamo ci è andato giù pesante in una lunga e circostanziata dichiarazione pubblica, come, d’altro canto era suo dovere, di primo cittadino eletto dal popolo. Che al popolo ha inteso fornire la giusta chiave di lettura di un evento – a voler usare un eufemismo – alquanto spiacevole. Dopo aver ribadito l’elevata capacità professionale e lo spessore socio – culturale delle persone da lui indicate, Di Girolamo scrive: “Ancora una volta la maggioranza del Comitato di indirizzo della Fondazione CARIT ha ritenuto di non accogliere le designazioni dei nuovi membri avanzate dal Sindaco di Terni, in base al ruolo conferitogli dalla legge e dallo Statuto”.
Un elemento che considera “problematico” (usando pure lui un eufemismo) “è rappresentato dal fatto che il Comitato di indirizzo vota con voto segreto e senza alcuna motivazione palese, decidendo anche sulle designazioni che sono nella potestà di altri”. Sembra di capire che la democrazia, la quale richiede il massimo della responsabilità personale, non è di casa in Corso Tacito. “Le Fondazioni bancarie – aggiunge il Sindaco – in questi anni di crisi, possono rappresentare uno strumento decisivo per sostenere le politiche di sviluppo”. Si legge, sempre nella dichiarazione: “Molte Fondazioni hanno orientato la loro azione, in maniera decisiva, verso queste direzioni”. Poi fa degli esempi positivi, citando Milano, Torino, Bologna e Perugia “che hanno messo in campo interventi significativi di tipo strutturale e di ampio respiro”.
Per la Fondazione di Terni, che non è nell’elenco, viene sottolineato: “Credo serva un ulteriore passo avanti, pensare un po’ più in grande e con un orizzonte più ambizioso, quello di contribuire da protagonisti a quell’azione di sviluppo, di coesione sociale, di creazione di nuove opportunità, che la società ternana chiede a gran voce”. Insomma, “censure” che vanno e vengono. E, nella sostanza, evidenziano un conflitto tra due Enti importanti, ai quali Terni chiede il ritorno alla utile normalità dei rapporti. Rapporti scombinati da ripetute prese di posizione della Fondazione, difficili da comprendere e adottate con quelle che il Sindaco ha definito “immotivate bocciature”.
Forse c’è anche bisogno che talune sedi decisionali e operative della città si spoglino della loro livrea aristocratica per dialogare, in termini moderni, aperti al confronto, senza pregiudizi, al fine nobile (con meno “piani nobili”) di realizzare un progetto sociale coinvolgente i diversi settori culturali e politici della collettività locale. All’Interno di una chiamata generale di intese in grado di unire le forze e le capacità, per riconquistare la soglia dello sviluppo e del benessere per le famiglie ternane e non, oggi gravate da problemi molto più seri delle beghe di palazzo.