La vicenda giudiziaria dell’ex Sindaco di Terni finita in una bolla di sapone
di AMAR
Come si suol dire, “s’è levato un sassolini dalla scarpa”. Nella fattispecie, dentro la scarpa dell’ex Sindaco di Terni Leo Di Girolamo ci stata una pietra grossa così. E lui, parlando l’altro giorno alla presentazione di un libro dal titolo emblematico, Storie di orrori giudiziari, ha pensato bene ci fosse la platea adatta per riportare alla memoria la vicenda della quale fu vittima innocente cinque anni fa. Più o meno, di questi giorni. Ha fatto bene, nel nome della democrazia e della verità.
Ci vollero mesi di indagini per formulare una accusa devastante e sostenere la storia degli occhi di riguardo verso talune Cooperative sociali ternane in tema di appalto di servizi. L’indagine era andata avanti senza sussulti. Poi, d’improvviso, il colpo di teatro. Si lesse e s’udì, in ambito locale e con eco nazionale, che il Sindaco di Terni, un Assessore comunale e alcuni Funzionari del Municipio erano stati tratti in arresto. Operazione a vasto raggio e trattamento da mafia sicula, “come fossimo a Corleone”, ha tenuto a sottolineare Di Girolamo. Durante la fase di ampia ricerca documentale, mancò soltanto la Marina, perché l’Esercito e l’Aviazione parteciparono con un centinaio di uomini in divisa e un elicottero a sorvegliare dall’alto, accché nulla sfuggisse al delicato compito di definizione dei reati ascritti.
A Terni, a Terni! Come nel 1922, per altri versi, a Roma, a Roma! Un provvedimento restrittivo difficile da capire, almeno a norma di legge ed al lordo delle conseguenze causate. Certo, in una città avara di cronaca nera, in grado di fare notizia e garantire un minimo di notorietà all’inquisizione, l’occasione era succulenta. L’arresto sensazionale del Primo cittadino. Perché? Forse l’imputato poteva darsela a gambe? Cioè, il pericolo di fuga? Probabilmente no. Allora, la reiterazione del reato. Impossibile, essendo l’arma del delitto utilizzabile esclusivamente con atto pubblico. Rimaneva l’inquinamento delle prove. Neppure, in quanto le prove ce le aveva ben chiuse nel cassetto il Piemme. Quindi, mistero. Capimmo che un nominato per concorso aveva deciso il destino di un eletto dal popopo.
Nessuna esigenza di custodia cautelare ricorrendo, la privazione della libertà parve quantomeno eccessiva. Così quanto esagerato – lo ha ricordato Di Girolamo – lo spiegamento di forze e la spettacolarità dell’azione preventiva. Dunque, dimissioni in Comune, Amministrazione decapitata, terremoto politico di alto grado. Chissà, qualcuno, in Corso del Popolo, aveva visto il film Le mani sulla città di Francesco Rosi e gli era tanto piaciuto. Il protagonista Edoardo Nottola, lestofante e Consigliere comunale di Napoli, s’era trasferito a Palazzo Spada.
Alla fine di questo fuoco d’artificio, quando il castello accusatorio, dall’Ufficio inquirente è passato nell’aula del Tribunale giudicante, il castello è caduto in rovina. La sentenza – peraltro inappellata – ha dichiarato tutti gli imputati assolti perché il fatto non sussiste. Vale a dire non è stato Antonio ad ammazzare Giovanni, ma addirittura, Giovanni è vivo e vegeto. Tutto quanto accaduto senza alcuna conseguenza, anzi il contrario – ha puntualizzato l’ex Sindaco – per quanti il castello lo avevano messo in piedi. Tranne il solito “avvilimento” per la Giustizia con l’iniziale maiuscola. Tanto rumore per nulla di William Shakespeare. Ma, non è stata una commedia. Ora, speriamo che si possa dire referendum docet.
Non mi è parsa trionfare la giustizia, neppure nel caso, riportato l’altro giorno dagli organi di informazione, riguardante alcuni “graduati” della nota caserma Gamerra di Pisa, accusati di odiosi atti di “nonnismo” ai danni di un allievo paracadutista. Era appena arrivato che venne sottoposto al rituale, tollerato dal mondo in uniforme. Lo costrinsero a salire spogliato sulla torre usata come asciugatoio per i paracadute. Due giorni dopo fu rinvenuto morto li sotto e, secondo la classica usanza dell’insabbiatura, dichiarato suicida. I familiari ci vollero vedere un po’ più chiaro; venne fatta persino l’ indagine da parte di una Commissione parlamentare. Ora ha preso il via il processo. La notizia però è un’altra: il presunto fatto delittuoso accaddeil 16 agosto del 1999, vale a dire 23 (dicesi ventitre) anni fa. Fulgido esempio di giustizia ultraveloce.
Ora torniamo a Terni. Furiose polemiche ha suscitato la messa a dimora, nel centro storico della città, di una grande ruota panoramica (simile a quelle che si vedono nei Luna Park). Chi, in Giunta, ha avuto la luminosa idea, voleva sistemarla in Piazza Tacito, proprio al centro – centro, laddove già si ammira la Fontana dello zodiaco. S’è alzato un coro di contestazioni proveniente da alcuni storici dell’arte che se ne intendono pure di arredo (e di decoro) urbano. Siffatto marchingegno, a pochi metri dall’ antico simbolo identitario di Terni – l’acqua, l’acciaio, il lavoro – hanno sostenuto c’entra quanto i classici cavoli a merenda. Ora, stando alle voci di dentro, si è deciso di cambiare piazza. Certo, permanendo la situazione non proprio brillante nella quale Terni si dimena, sarebbe stato un peccato rinunciare alla ruota della fortuna. Grande fortuna! E’ alta 34 metri.