Tre imprenditori del settore farmaceutico, due residenti a Perugia e un altro in provincia di Viterbo, sono indagati per bancarotta,
Tutto nasce dai controlli della Guardia di Finanza a carico di una azienda che rivendeva farmaci e sulla quale era stata avviata una procedura fallimentare. Malgrado lo stato di dissesto e d’insolvenza i soci proseguivano l’attività accumulando altre perdite che al 31 dicembre scorso raggiungevano i 10 milioni di euro.
La procura di Perugia sequestra con urgenza quote societarie. Contestualmente i militari del Nucleo di polizia economico e finanziaria del capoluogo umbro hanno effettuato perquisizioni locali, personali e informatiche nei confronti di otto persone fisiche e quattro società coinvolte, a vario titolo, nelle vicende oggetto d’indagine con sedi in Umbria, Lazio e Sardegna.
A dare input all’indagine sono stati alcuni accertamenti delle fiamme gialle a carico di una società che rivendeva farmaci e su cui era scattata una procedura fallimentare, ma da qui è emerso, secondo gli inquirenti, che malgrado che lo stato di decozione avvenuto già nel 2015, i soci non avevano depositato l’istanza di fallimento e proseguivano l’attività accumulando ulteriori perdite che al 31 dicembre scorso cubavano 10 milioni di euro.
Secondo la procura di Perugia, i tre imprenditori avrebbero anche depositato in tribunale un’istanza di concordato preventivo, poi dichiarata inammissibile, ma che per i finanzieri aveva il solo scopo di rinviare il fallimento, aggravando il dissesto della società che rivendeva farmaci e, soprattutto, procedendo sia a una serie di prelievi di denaro dell’azienda considerati ingiustificati che a operazioni finalizzate, è sempre la ricostruzione degli investigatori, alla distrazione di beni.
Nell’ambito delle indagini, spiega una nota del procuratore capo Raffaele Cantone, sono emerse cessioni di quote societarie a prezzi irrisorie, vendite fasulle di compendi aziendali, spoliazioni di beni personali tra cui automobili d’epoca di rilevante valore, mentre è stato anche rilevato il tentativo di estromissione della curatela dalla gestione dei beni personali dei soci falliti, che avrebbe dovuto essere attuato, nel corso di un’assemblea convocata per la fine dello scorso mese di giugno, attraverso la riduzione del capitale di una società a loro riconducibile, a copertura delle perdite e la sua ricostituzione mediante versamenti in denaro, nella piena consapevolezza che il curatore non sarebbe stato in grado di esercitare il diritto di opzione, favorendo, quindi, l’ingresso nella compagine societaria di soggetti apparentemente terzi.