di Adriano Marinensi – A chi crede nella mitologia, la leggenda narra che una ninfa di nome Nera si innamorò di un grazioso pastore di nome Velino.
Giunone gelosa trasformò Nera in un fiume e Velino, per non perdere la sua amata, si gettò dalla rupe abbracciandola. Così nacque la Cascata delle Marmore. Per chi ama la poesia, ecco un brano di Lord Byron : “Inconsunta nelle sue fisse tinte, mentre tutto là attorno è dilaniato dalle acque infuriate, innalza serenamente i suoi fulgidi colori, con tutti i loro raggi intatti e sembra, tra l’orrore della scena, L’Amore che sorveglia la Follia, con immutabile aspetto”. A chi ama la storia invece va scritto, correva l’anno 480 dalla fondazione di Roma, quando il Console M. Curio Dentato fece aprire il primo “cavo” sul ciglio delle Marmore, per sottrarre acquitrini alla piana di Rieti, gettando il Velino nel Nera. Pare sia quella la vera data di nascita della Cascata. Bella a vedersi, difficile da gestire. La lunga “partita” Terni – Rieti, sui problemi sollevati dalla straordinaria caduta d’acqua, ebbe inizio quando i sabini intesero aprire un altro canale. Ne nacque una rissa. “Giocarono”, in difesa di Terni, Aulo Pompeo e, per i reatini, addirittura Cicerone. Occorreva “dare più agevole esito – scrive lo storico Ludovico Silvestri nelle Riformanze – a quelle acque che ancora impaludavano in molti insalubri ed estesi stagni la piana del Velino”. I sottostanti ternani temevano che una maggiore quantità d’acqua provocasse allagamenti nel loro territorio. Quindi, a Terni, “si decretò di fare energica opposizione … valendosi anche della forza e assoldarono genti d’arme da ogni parte e munirono di milizie la Rocca di Monte S. Angelo” (anno 1415).
Ancora tre anni dopo, non s’era venuti a capo della questione. “Crebbe l’odio degli Interamnati – precisa il Silvestri – perché credevano le volute innovazioni fossero motivate da maligna emulazione”. Chiesero quindi l’intervento del Capitano di ventura Braccio da Montone che mise a disposizione “anco tutte le sue milizie”. Si finì ad un passo dallo scontro cruento, ma Braccio salvò capra e cavoli ponendosi, “con più umano divisamento, mediatore di pace tra i contendenti”. Passano ancora pochi anni ed ecco riaccendersi gli animi in quel di Marmore : “l’esaltamento di codeste due popolazioni si manteneva ancora in tutta la sua energia”. Nel mentre i reatini approntavano i lavori del nuovo canale, i ternani tosto li disfacevano. E in più eressero una muraglia a danno degli avversari, presidiata dai papignesi. I piedilucani fecero combutta con i sabini e “i giovani di Papigno furono posti in rotta”. Comunque, tra il 1418 e il 1425, il Cavo reatino fu bello e pronto. Nel contempo, la città di Terni era cresciuta ed occorreva adeguare le leggi e le pene. Fu sancito “il divieto del gioco delle carte, dei dadi e dell’oca, punita con maggior vigore la bestemmia e resa scrupolosa l’osservanza delle feste di precetto ad onore di Dio e dei Santi” (1426).
Parimenti dettagliata è la narrazione dei conflitti di Marmore, fatta da Luigi Lanzi. Conflitti iniziatisi “al principio del secolo XV, quando i reatini cercarono, con un nuovo approfondimento del Canale curiano, la salvezza della loro ubertosa vallata”. Ci fu un inatteso assalto alla Rocca S. Angelo che i reatini espugnarono. L’impresa proditoria fece radunare, a Terni, l’Arringo e Giandimartalo di Vitalone gridò : “Omnes interamnenses vadant ad portum Marmore ad moriendum !” Una specie di “o Roma, o morte”. Talché, un fiume di popolo si diresse verso l’altura; e “tra il verde dei campi – aggiunge il Lanzi – luccicavano le picche e le spade”. Gli invasori sabini furono immantinente cacciati dalla Rocca. Battuti, ma non domi, persistendo nel loro intento di scavo del nuovo canale, si rimisero all’opera. Gli uni costruivano e gli altri sfasciavano. Anche nella narrazione del Lanzi, a questo punto, compare Braccio da Montone, “a cavallo, con i suoi armigeri” e, messosi lui a fare il mediatore, si giunse alla creazione del tanto tribolato cavo reatino; da taluni “denominato anche gregoriano, perché compiuto sotto il Pontificato del XII di tal nome”. Con l’aggiunta di un osservatorio presidiato dai ternani, “per regolare la quantità di acque, onde evitare danni d’inondazioni alle sottoposte campagne”.
Nel XVI secolo, intervenne Paolo III, “un po’ per sedare le solite contese – spiega il Lanzi – un po’ per favorire gli interessi dei nepoti, signori di Cantalice e Cittaducale”. Venne addirittura a Marmore il Papa, onde visionare di persona i lavori progettati da Antonio da Sangallo, per realizzare la “cava paolina” (1544 – 1546) che avrebbe dovuto chiudere l’interminabile controversia umbro – sabina. Macché ! Mezzo secolo più avanti, nuovo intervento papale con Clemente VIII. Se si voleva liberare per sempre l’agro di Rieti, occorreva approfondire il cavo curiano. L’opera venne affidata a due architetti famosi : Giovanni Fontana e Carlo Maderno e di nuovo un Papa a fare il sopralluogo, “soggiornando Clemente sulle rive del Lago di Piediluco”. L’invenzione di maggiore importanza fu “il ponte regolatore” che però non rispose al suo scopo. Per di più ne trassero un danno i barcaioli, i quali fecero credere alla Curia romana che proprio attraverso quel ponte passavano “i malandrini provenienti dal Regno di Napoli, per compiere le loro rapine”. Era una burla cui credette Urbano VIII che fece sbarrare il passaggio con un muro.
Siamo al XVIII secolo, quando, placatesi le controversie tra Terni e Rieti, sono gli abitanti della Valnerina ad insorgere “per i gravi danni subiti dalle colture a seguito del rigurgito delle acque del Nera”. Passò per Terni Pio VI e con loro discusse circa “la richiesta di rimozione della Cascata curiano – clementina, ripristinando il cavo paolino”. Ci pensò l’architetto Andrea Vici a far rientrare la protesta : “con un ingegnoso intervento diede alla Cascata una bellezza in più e, per un secolo, restò solennemente tranquilla”. Per far in modo che i visitatori potessero ammirare a monte e da vicino il gigantesco flusso d’acqua, che “il Magistrato servile di Terni – conclude il Lanzi – fece erigere la specola“, all’inizio del 1800. Di lassù lo sguardo scruta anche un tratto della Valle del Nera, uno dei territori storici e ambientali più incantati dell’Umbria, dove è incastonato il gioiello della Cascata. Ce ne sono molte in Europa e in Italia, “però – afferma categoricamente il Silvestri – tutte avanza in bellezza e magnificenza la nostra Cascata delle Marmore”.