Per l’omicidio di Alessandro Polizzi, compiuto a Perugia nel marzo del 2013, ucciso a 24 anni a colpi di pistola, sono state confermate le pesanti pene anche nel processo d’appello-bis celebrato a Firenze.
A Riccardo Menenti, detenuto, accusato di essere l’esecutore del delitto, è stato confermato l’ergastolo e inflitto l’isolamento diurno di 18 mesi, mentre al figlio Valerio Menenti, che deve rispondere di concorso materiale e morale, la pena è stata ridotta da 18 a 16 anni e sei mesi di reclusione. Quest’ultimo è libero per decorrenza dei termini. Il ragazzo è stato scarcerato nel maggio scorso in esecuzione di un’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Firenze. Un cavillo tecnico gli ha permesso la scarcerazione e dunque di non rientrerà in cella fino a quando la eventuale sentenza definitiva di colpevolezza passerà in giudicato.
I suoi difensori hanno già annunciato un nuovo ricorso in Cassazione.
«Ci riserviamo di leggere le motivazioni della sentenza e poi la impugneremo per entrambi – ha spiegato il legale Francesco Mattiangeli -. Valerio attenderà libero la sentenza».
Presente alla lettura del dispositivo la madre e il fratello di Alessandro Polizzi, affiancati dagli avvocati Giovanni Rondini e Nadia Trappolini.
In aula anche Julia Tosti, che si trovava con Alessandro, suo fidanzato, quando venne ucciso e fu ferita a una mano dal colpo di pistola sparato dall’omicida.
La giovane – parte civile tramite gli avvocati Luca Maori e Donatella Donati – è scoppiata in lacrime.
Il processo-bis si è svolto a Firenze dopo che la Cassazione aveva annullato le condanne stabilite dai colleghi di Perugia, Pm Antonella Duchini, affinché venissero valutate la sussistenza delle aggravanti dei futili motivi e la crudeltà ed eventualmente rideterminare la pena.
Ricostruita ancora una volta la dinamica dell’omicidio
L’accusa ha più volte parlato di un’esecuzione. Uno sparo partito ad una distanza compresa tra i 40 e i 50 centimetri, come stabilito dal dottor Tagliabracci, esperto di genetica forense e di medicina legale chiamato a testimoniare dalla parte civile nel processo per la morte del giovane di Ponte San Giovanni.
Confermata dunque anche in questo processo d’appello la tesi della dottoressa Duchini.
Secondo quanto spiegato dal perito, nella logica delle possibili dinamiche dell’omicidio, il colpo non partì quindi durante una colluttazione.
Si trattò piuttosto di un colpo mirato, puntato e esploso per uccidere con sicurezza.