Contro eventuali aggressioni di Stati tirannici l’Unione decide di potenziare le spese militari anche l’Italia stanzia 6 miliardi, oltre il doppio del precedente quinquennio
di Bruno Di Pilla
“E pluribus unum”: tutti per uno, uno per tutti. E’ questo il motto dei 31 Paesi aderenti alla NATO, alleanza difensiva sorta il 4 aprile 1949 per scongiurare altri conflitti mondiali, dopo le due disastrose guerre della prima metà del XX secolo. Tuttavia costa cara, la libertà.
Gli Stati democratici e pluralisti firmatari del Patto Atlantico s’impegnarono, nell’atto costitutivo, a finanziare l’arsenale militare dell’organizzazione versando ogni anno il 2% del PIL nazionale. E’ questa la condizione prioritaria affinché scatti “ipso iure” l’articolo 5 del Trattato, che prevede l’intervento immediato e congiunto degli alleati in caso di aggressione ad uno qualsiasi dei membri.
Contro il proliferare dei brutali regimi dittatoriali nel mondo, specie in Russia, Cina, Iran, Nord Corea, Birmania e in diverse aree geografiche del Sudamerica e del continente africano, la NATO è attualmente impegnata in un’imponente esercitazione delle Forze Armate, aeree e navali, negli Oceani e nelle zone terrestri del Nord Europa lungo i confini della martoriata Ucraina, da due anni sconvolta e pressoché incenerita dai quotidiani bombardamenti del tiranno Putin.
Consapevoli dei maggiori rischi che corrono, Francia, Germania, Polonia e Paesi baltici hanno già notevolmente potenziato i rispettivi armamenti, stanziando somme ogni anno crescenti per irrobustire i comparti difensivi di aviazione, marina, esercito, satelliti-spia, cyber security.
Anche l’Italia si muove, grazie alla lungimiranza del Ministro Guido Crosetto, al punto che sono 6 (oltre il doppio del precedente quinquennio) i miliardi destinati alla tutela militare della nostra Patria. Più in generale, i 27 Paesi comunitari temono un eventuale isolazionismo degli Stati Uniti, nel caso in cui ne divenisse Presidente il repubblicano Trump, i cui impegni strategici, per sua stessa ammissione, si concentrerebbero nell’area del Nord Pacifico per contenere l’espansionismo cinese. Ipotizzando la “chiusura” del tradizionale ombrello protettivo statunitense, operante da 75 anni, finalmente l’Europa si sveglia.
Sollecitata da Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione comunitaria, ma in passato Ministro della Difesa tedesca, l’Unione sta predisponendo un Recovery Plan da 100 miliardi, in gran parte finanziabile con l’emissione di Eurobond. Anche la BEI, Banca Europea degli investimenti, erogherà prestiti e sussidi alle aziende delle armi. Eureka! La difesa comune del Vecchio Continente non è più una chimera.