Rappresenta la meta per una interessante “ottobrata”
di AMAR
Ho visto in T V un servizio dedicato ad una rassegna d’arte moderna allestita nel Sacro bosco di Bomarzo. Non so quanto possano entusiasmare i visitatori le forme fantasiose esposte, talune senza forma. Se gli insoddisfatti fossero molti, per loro rimarrebbe a disposizione l’arte antica che ha reso celebre il borgo in provincia di Viterbo, non lontano dai confini dell’Umbria. La descrizione che segue sembra il racconto di una favola grottesca, piena di sembianze deformi, per mettere in soggezione un bambino capriccioso.
Lasciatemelo ripetere: il bosco è l’ambiente ideale per godere della natura, rigenerare lo spirito, riequilibrare lo stress fisico e stare in compagnia degli alberi, sinceri amici dell’uomo (altro che i cani!). Gli alberi spazzini dell’atmosfera che abbiamo inquinato con le mille diavolerie diffuse dalla modernità. Il bosco è il luogo dove la natura si esprime con i suoi silenzi, i profumi, la simbiosi verso i sentimenti umani. Il verde che si spande in primavera, le fresche ombre estive, le fronde colorate in autunno e l’inverno con la terra cosparsa di foglie morte. Il selvatico che profonde in ogni stagione.
Ci sono un bosco e un borgo antico a Bomarzo. Detto così sembra uno dei tanti tratti caratteristici dei quali sono ricchi l’alto Lazio e la nostra regione. Ma, andando sul luogo, si scopre un mondo fantastico, racchiuso in una macchia di acquisita sacralità per ciò che custodisce da cinque secoli. Lo visitai anni addietro e mi sono trovato a sbigottire quasi come l’Alighieri: “Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura”.
Effettivamente la selva era oscura, al pari di ciò che la rendeva arcana. Cioè un patrimonio spettacolare di statue che parlano un linguaggio misto di cultura e spettacolo. Suscitano meraviglia per le loro dimensioni imponenti e bizzarre e il recondito significato. Si finisce per farsi sorprendere dall’imponenza e dall’originalità. Un ambiente chimerico, custodito nel silenzio della natura. Siamo nel genere dell’eccentrico quasi giocoso. Alcuni di quei giganti sono legati alle figurazioni orride dei tarocchi, all’epoca, quando nacque il paeco, vaticinazione molto seguita.
Venivano considerati strumenti di predizione, i tarocchi, affidabili e affidati alla credulità popolare. La pretesa legittimazione alla potestà di svelare il destino attraverso la sofisticazione superstiziosa delle iconografie, con un intrico di numeri e di combinazioni. Per certi aspetti, il Parco di Bomarzo sembra un tavolo apparecchiato proprio per manipolare le carte. Può anche sembrare un giardino delle meraviglie, invece ha una storia di realtà.
Nacque verso la metà del XVI secolo, per mettere in scena una gigantomachia, la lotta dei giganti contro le divinità. C’è stato chi ha giocato d’azzardo, vedendoci la mano dei contemporanei Michelangelo e Vignola. Il mostro simbolo del parco è l’Orco, che ti guarda con gli occhi enormi e la bocca spalancata fino ai contorni del volto. Come molte altre statue è alto quanto un uomo moltiplicato per tre. All’ingresso del parco, le Sfingi, femmine dal corpo di leone. Quella di destra dice: Tu ch’entri qui pon mente parte a parte et dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per incanto oppur per arte. Poi, ecco il Colosso che sovrasta perché tale è. Si vanta in una scritta: Se Rodi altèr già fu del suo Colosso, pur di quest’il mio bosco anco si gloria e per più non poter fo quant’io posso.
Con le solite dimensioni sovrumane, ti ferma il passo il gruppo della Tartaruga e della Balena, a simboleggiare la longevità. Poco oltre è Pegaso, il cavallo alato che emerge eclatante da una fontana. A ricordare i ninfei d’età greco – romana, ci sono le poco graziose Tre Grazie e, appresso, Venere ammalia dentro la conchiglia. Tra gli scenari inattesi, ecco la Casa storta. Sta sopra un pietrone obliquo e pare una piccola torre pendente.La curiosità sollecita ad entrare per creare subito notevoli problemi di equilibrio con il pavimento inclinato, che quasi costringe a sbiechi balzelloni. Se ci metti una livella, la bollicina finisce tutta da una parte.
Il forzuto Ercole tiene Caco, il ladro dei suoi buoi,a testa in giù. E’ una similitudine del complesso marmoreo presente in Piazza della Signoria, a Firenze. Cerere, la dea delle messi, compare in grande magnificenza con il cesto sulla testa pieno di spighe. Altri soggetti portentosi sono lo smisurato Elefante ed il tremendo Drago che pare faccia fuoco e fiamme, tanto è aggressivo il sembiante. Di pari effetto scenico si fanno ammirare il Nettuno e la Ninfa dormiente. Men che meno meritorio di memoria il Tempio, costruito postumo rispetto al resto del Parco, in onore della principessa Farnese, sposa di un nobile Orsini. L’Echidna spinosa dal becco lungo è rappresentata con due serpenti al posto delle gambe e, nei suoi pressi, c’è la Furia con coda ed ali di drago. A ribadire la singolarità del luogo, la scritta: Voi che pel mondo gite errando, vaghi di vedere meraviglie alte et stupende, venite qua dove son faccie horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi.
Una ricca bibliografia ha reso noto il Parco dei Mostri, compresi alcuni documentari, uno dei quali girato dal regista Antonioni. Alla Sfinge che chiedeva se le meraviglie esternate fossero fatte con arte, va risposto SI. Tutto quanto costruito li dentro appare degno di uno scultore che abbia l’estro di realizzare, sulla grande pietra, ipnotiche imponenze. A Bomarzo, arte e natura, genio e ambiente si mescolano: Un capolavoro! Qualche “ruga” traspare, ma quella pietra ha cinque secoli. E il “ritratto” reso per narrazione, gli fa perdere molta parte del fascino che ammalia.