La radiazione sociale, oltre che sportiva, per i criminali ultras dell’Autostrada
di Adriano Marinensi
Ho rubato spazio, di recente su queste colonne, per una modesta opinione sul (vergognoso) calcio miliardario del pallone (d’oro) Cristiano Ronaldo e degli sceicchi arabi, entrati a gamba tesa in campo, usando i petrol dollari come fossero noccioline per le scimmiette dello zoo. Mentre il loro popolo – suddito fa la fame. Fatemi dissipare altre poche righe onde esprimere disprezzo per quanto accaduto lungo l’Autostrada del Sole (nella fattispecie, il sole della civiltà era tramontato da un pezzo) tra frange di pseudo tifosi romanisti e partenopei. Con gli automobilisti e le loro famiglie in mezzo ai pericoli della indegna cagnara.

Botte da orbi senza motivo, se non la rivalità, anzi l’odio sportivo. Si è trattato di una delle troppe ormai rappresentazioni laide di criminalità legata ad un concetto delinquenziale del confronto calcistico, meritevole di radiazione sociale senza appello. Oltre al rigore repressivo, conseguente ai cosiddetti reati ascritti e compiuti in dispregio dei veri valori dello sport. Basta – come dice in tono comico Pozzetto – con la violenza negli stadi, ma anche con le sterili analisi sociologiche di maniera. Si tratta di monnezza sociale, altro che disagio giovanile.
Atteggiamenti tollerati persino con la complicità di taluni silenzi di benevolenza dimostrati dai dirigenti delle società calcistiche, verso gli ultras teppisti, al fine di assicurarsi il sostegno in casa ed in trasferta. Collusioni indecorose sopra e sotto il banco. E gli italiani costretti a pagare le tasse per contribuire al (rilevante) monte spese che serve ad assicurare la nutrita presenza di Forze dell’ordine, inviate a presidiare i campi di calcio. E nella azione di contrasto al tipo in questione di delinquenza organizzata. Dire soltanto BASTA è diventato un eufemismo irresponsabile.

I “resistenti” appollaiati ad Aguzzo
Quella della tutela e rivitalizzazione dei centri storici, rappresenta, in Umbria, una questione pregiudiziale rispetto alla tutela dell’identità regionale. Siede in un posto di prima fila ed ha un ruolo strategico. L’interpretazione del loro scadimento causato dallo sviluppo industriale, dal salario certo in fabbrica rispetto alla aleatorietà del reddito contadino, non servono più. Serve una progettualità seria e immediatamente esecutiva, altrimenti la decadenza diventerà irreversibile.
L’ultimo grido di dolore proviene da Aguzzo, frazione del Comune di Stroncone, in Provincia di Terni. E’ un esse. o. esse di poca eco perché lanciato dagli ultimi dieci cittadini che ancora restano a vivere (vogliono vivere, perbacco!) lassù, tra le innumerevoli case disabitate. Ora però l’attenzione ha superato i confini locali ed è diventata nazionale. Aguzzo, il grumo di famiglie dal nome curioso, è diventato protagonista di un buon esempio di comunità resistente alle esche traditrici della modernità. Udite, udite: Di notte si vedono ancora le stelle, spente altrove dall’illuminazione ossessiva che non si può attenuare per via dei ladri e dei rapinatori.
Un avamposto di difesa, Aguzzo, di una storia scritta da numerose generazioni sulle pietre da costruzione e sulle altre dei vicoli e delle minuscole piazze incastonate nella cornice di un ambiente, di un paesaggio, di modelli dello stare insieme che meritano attenzione e rispetto. Perché mettono a disposizione alternative valide a quel che oggi offrono le dimensioni sociali affollate e sopraffattrici. Luoghi costruiti dall’uomo, dentro i quali l’uomo è caduto prigioniero dell’alienazione e del malessere.
Dunque Aguzzo e il manipolo di resistenti che non hanno alcuna intenzione di barattare la quiete del borgo con le cacofonie convulse della città, le solidarietà e i sentimenti comunitari con l’anonimato urbano, le atmosfere lucenti con l’inquinamento che affanna il respiro. Anche se li angustia lo scivolamento a valle del paese, ormai divenuto un pericolo affatto marginale e immaginario. Significa compromissione della stabilità edilizia sotto la spinta del degrado idrogeologico. Un problema vecchio di molti anni. Ora però in via di soluzione. C’è un progetto esecutivo di intervento strutturale, c’è il finanziamento, c’è la ditta appaltatrice e, tempo un paio di mesi, ci sarà l’inizio dei lavori. Parola del Sindaco di Stroncone.
E il Sindaco, Giuseppe Malvetani – come il Bruto di Shakespeare – è uomo d’onore. Lo furono, al pari, suo Nonno e suo Padre Sindaci pure loro. Ormai è fatta. Quel che forse occorre fare è la moltiplicazione dei pani e dei pesci; chiedo scusa, degli abitanti. Moltiplicare i dieci di Aguzzo, almeno per dieci e farne cento, per avere, in loco, i servizi di prima necessità (gli altri si possono trovare a Stroncone e Terni a portata di mano). L’ operazione non sarà difficile stante il potere di attrazione esercitato da un luogo di vita che ancora mostra di garantire alloggio all’ esistenza prossima ai valori e ai desideri dell’homo sapiens. Anche se in giro, di uomini sapienti, pare non ce ne sia un affollato assembramento.
La violenza e la condanna adeguata
Tornando daccapo a ciò che sto scrivendo, va aggiunto che c’è violenza e violenza. Di fronte a quella che stanno subendo, da quasi un anno, ad opera del malfattore di stampo sovietico, i crocifissi di Kiev e dintorni, l’altra degli straccioni dell’A1 diventa una gazzarrata. Non mi sono affatto pentito di aver definito criminale di guerra l’autore del cataclisma in Ucraina, in un articolo scritto l’8 marzo 2022, all’indomani dell’invasione del 24 febbraio. Successivamente ho ascoltato l’ eco da più parti autorevoli. Mezzo mondo si è dichiarato d’accordo nel pronunciare la drastica censura, esclusa la Cina ed altri pochi pensatori del nulla.
Il mio articolo aveva come sottotitolo: Chi minaccia la pace va processato e condannato subito. Per cercare il metro di giustizia e quantificare giuridicamente il biasimo, basta andare a rileggere l’Accordo di Londra sottoscritto nel 1945 da numerosi Paesi civili. Ci sono anche i criteri orientativi del Processo di Norimberga e l’identificazione delle tre categorie di reati che meritano il massimo della pena: 1) I crimini commessi in tempo di guerra; 2) quelli contro l’umanità; 3) contro la pace e mediante le aggressioni armate. Ora, ditemi voi se il terzo non si adatta perfettamente, quale capo di imputazione, all’odierno despota stalinista del Cremlino.